I poveri che incontriamo - di P. Giuseppe Pirola sj

Qualcuno ci chiede l'elemosina: che fare?

24/01/2009
Oggi capita a tutti di incontrare per strada gente che tende la mano. E’ gente di tutte le razze e di diverso colore, gente di tutte le età, dalle ragazze o donne meno giovani accovacciate per terra ai lati della strada, ai neri che ci invitano a comprare qualcosa o almeno a dare loro spicciolini per mangiare, o ad anziani che timidamente chiedono un piccolo aiuto. Do loro un’elemosina o no? Gliela do sempre e a tutti o no? Che fare? Intendo dire: il vangelo che cosa ci chiede e ci spinge a fare in questi casi della vita personale e sociale ?   
Togliamo di mezzo gli equivoci, o certe frasi che sentiamo dire o che vengono alla mente o alla bocca anche a noi. Chi non ha sentito dire frasi come queste: la mendicità è un fenomeno storico antico quasi quanto il mondo; non sarò io che salverò il mondo. Che cosa posso fare da solo di fronte a un problema sociale così enorme? Qualcuno cita anche un antico proverbio cinese: non dare il pesce a chi te lo chiede; insegnagli a pescare con gli strumenti necessari. Se oggi gli do qualcosa, risolverò il suo problema di oggi, senza riuscire a cambiare la situazione che lo costringe a mendicare. Qualcuno più duramente è preso dal sospetto per questo numero crescente di mendicanti, che chiedono denaro per mangiare e invece lo usano per ben altro; che donne e bambini facciano parte di gruppi di adulti che li obbligano a mendicare per fare soldi, in altre parole, che dietro la mendicità sia altro, come dietro alla prostituzione praticata per strada. Qualcuno urla brutalmente: ma vai a lavorare! Qualcun altro tiene pronte le monetine per distribuirle ogni volta che gliele chiedono. E infine qualcuno dà talvolta qualcosa ma non sempre, e poi si sente perciò anche in colpa.   
Ho dato l’esempio di giudizi frettolosi, ove non tutto è falso, che richiedono però una riflessione più approfondita. Il motivo è indicato dal Vangelo, e cioè dalla parabola del buon samaritano. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e fu assalito da ladroni e abbandonato a terra ferito. Tre uomini passarono. Uno solo si fermò, lo soccorse, lo affidò alle cure di uno che lo ospitò, caricandosi del debito, e che poi se andò a occuparsi dei suoi affari.
Il vangelo ci invita innanzitutto a capire che quando ci imbattiamo in un povero, è il Signore che ci chiama a fermarci, a prestargli attenzione, ad avvicinarlo e aiutarlo, interrompendo le nostre occupazioni abituali sia pure per poco tempo. Ci chiama a vederlo come Dio lo vede: un uomo da non emarginare o disattendere, un uomo con cui aprire subito una relazione e una sola relazione, quella di amarlo perché è un uomo.
Si noti anche la moderazione dell’invito del Signore: amare non i poveri in generale o in astratto, ma amare quel povero in cui casualmente e inaspettatamente ti imbatti, senza andarlo a cercare, e a soccorrerlo nei limiti delle proprie disponibilità personali e familiari. Nessuno è chiamato dal Signore a soccorrere personalmente tutti, sempre, senza tenere conto non solo delle proprie risorse disponibili, ma anche di quel limite dell’amore personale per il prossimo che è esplicitamente enunciato nel comandamento della carità. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Il Signore non chiede a nessuno di fare l’eroe, sacrificarsi per gli altri, essere la provvidenza di tutti e per tutti, a scapito della propria vita personale e familiare. E’ sufficiente amare gli altri come sé stessi, in una misura equa tra amore di sé e amore degli altri, facendo agli altri quanto a ciascuno è possibile fare.
Qui comincia la divisione tra l’esercizio della carità o amore del prossimo, e il problema sociale dei poveri di cui i singoli non possono essere la soluzione. L’azione caritatevole dei singoli è solo provvisoria. Ma c’è un ulteriore passo in avanti da fare.
La Chiesa universale ha istituito un suo servizio mondiale detto Caritas, articolato in istituti consimili presenti in tutte le diocesi, che fanno appello alla carità di tutti, per un servizio capillare organizzato e non casuale. L’idea di fondo, tenendo ferma l’ispirazione evangelica o l’amore del prossimo, è di sostituire ai limiti dell’azione caritativa dei singoli, un nuovo soggetto operativo, la comunità cristiana diffondendo in tutti i suoi membri l’attenzione vigile e costante al problema dei poveri, nel provvedere ai poveri, secondo il bisogno, coni contributi provenienti dalla comunità stessa. La caritas o amore del prossimo è divenuto una vocazione e un compito non più solo del singolo ma della comunità cristiana intera nelle sue articolazioni o divisioni diocesane presenti su tutto il territorio. Il singolo anziché limitarsi a fare quanto può da solo, è chiamato a entrare a condividere con l’intera comunità la cura dei poveri. Così la comunità testimoniala sua fedeltà a Cristo con l’amore dei poveri, condiviso da ciascuno della comunità. Le iniziative della Caritas sono note: dalla raccolta di indumenti usati, alle cucine popolari cui si accedi con buoni mensa offerti dalle parrocchie, all’apertura di dormitori con esistenza notturna ecc. talvolta è bene dire a chi tende la mano dove e come può mangiare e dormire gratis o meglio usufruendo di una caritas organizzata nel raccogliere fondi e distribuirli ai poveri. Ricordo che il papa Benedetto nella sua enciclica ha rivendicato questo compito come compito proprio della Chiesa. 
La Chiesa tuttavia sa bene che la carità non basta per la soluzione o eliminazione progressiva e definitiva della povertà. Per questa soluzione infatti occorrono analisi storiche precise del come e perché la povertà si produce e riproduce nonostante il lavoro e l’enorme produzione di beni strumentali e di beni di consumo, per scoprire il male della povertà alla radice e sradicarlo. Questo è un compito della giustizia sociale e l’esecuzione di questo compito spetta all’azione politica, cioè a leggi pertinenti e al rispetto delle leggi, azione propria dei laici e del potere politico.
Ciò non vuol dire che la carità è inutile o inefficace: innanzitutto la carità offre il primo movente anche della giustizia, l’amore del prossimo, l’amore degli uomini, l’amore per la loro dignità stravolta dalla povertà subita, l’amore per il non ancora uomo, diceva Gutierrez, teologo cattolico peruviano della liberazione. Inoltre, come diceva sorridendo qualche missionario in Africa, il compito della Chiesa non è affatto suppletivo e provvisorio, rispetto a quello della giustizia; anzi è infatti necessario affinché, quando arriverà la giustizia, i poveri siano riusciti a sopravvivere e siano ancora vivi; altrimenti…
Cordialmente, P. Giuseppe Pirola sj