Epifania tra realtà e fantasia - di Mons. G.B. Chiaradia

Dai Re Magi alla Befana: una notte di doni per l'umanità

05/01/2009
L’Epifania è una festa complessa e forse inquietante, tanto che la semantica popolare ha cercato, mediante semplicissime tecniche della parola, di trasformare, almeno per i bambini, Epifania in Befana.
Non c’è bisogno di tanta istruzione: basta cambiare le labiali “P” in “F”, eliminare la “E” e si giunge alla Befana, la vecchietta che non ti fa male: se sei stato cattivo, invece dei dolci, ti porta un pezzo di carbone, ma poi ti accorgi che si tratta di zucchero.
L’Epifania, come la descrive il Vangelo di Matteo (2,1/12), è potente e inquietante.
La notizia della nascita di quel Bambino ha sconvolto tutto il mondo.
I tre personaggi regali (i Magi) sono la sintesi: l’uno rosso, l’altro nero, il terzo pallido sono il simbolo dell’umanità in quei tempi.
I Magi, avendo avuto una sensazione misteriosa che in Palestina è nato un grande personaggio, si dirigono a Gerusalemme, città regale plurisecolare ma non trovano il Bambino.
Inorriditi, penso, sentono che quel Bambino, che per loro è un mistero, è nato chissà dove, perché non c’era posto per la mamma nell’albergo.
Qualcuno li informa che ora, con mamma e papà, il Bimbo si trova in una casa ospitale a Betlemme.
Sanno che quel Bimbo era nato in una stalla, ma una grande luce era scesa dal cielo e miriadi di Angeli osannati avevano illuminato quel povero sito!
Tra spavento e meraviglia quei tre vanno nella casa dove sono ospiti Maria, Giuseppe, il Bambino.
Non hanno parola: spaventati ed estasiati, nella memoria che era stata una stella a portarli in quel sito, si inginocchiano davanti a quella culla…
Hanno portato dei doni degni di un sovrano.
Matteo, che narra l’avvenimento, dice solo che provarono una grande gioia: gioia di averlo trovato sano e salvo.
Avevano incontrato Erode che li aveva trattati bene, li aveva incaricati di informarlo perché sarebbe andato anche lui ad “adorarlo”.
I Magi, però, hanno intuito che era un falso e un cattivo.
Davanti a quella culla pensano e pregano. Mille pensieri: cattiveria e bontà, terrore, spavento, ribrezzo, meraviglia, emozione, stupore s’intrecciano nell’animo di quei saggi.
Li vedo pensosi, senza parola, anche senza preghiera. Fissano quella culla, avvertono nell’anima che quella culla parla.
Intendo così la preghiera dell’Epifania: fissare quella culla, vederla come era prima: una greppia.
Erode, con la sua perfidia, domina feroce. Allora, quei sapienti, per annientare quella presenza spaventosa, cantano: «Tu sei Dio, Tu sei Re, Tu sei l’eternità».
Oso dire che l’oro, l’incenso e la mirra sono metafore del loro canto, della loro preghiera, perché canto e preghiera sono preziosi come l’oro, salgono al cielo. Come l’incenso, restano in eterno intenso profumo nel cuore di Dio.
Noi con loro, commossi, in silenzio, volgiamo l’anima verso quel Bambino, intensamente, il più possibile tutta la notte della Befana, perché ci porti un dono: credere intensamente, credere e iniziare al mattino a camminare a testa alta perché c’è Lui, il Bimbo sulle nostre spalle che dice dove andare.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia