Culto e cultura nel tempo - di Mons. G.B. Chiaradia

Cristo come figura-simbolo di una ricerca millenaria

07/03/2009
Culto e cultura: due momenti del vivere umano.
Il culto si affaccia per primo, poi lo raggiunge la cultura.
Tra l’uno e l’altro millenni.
La creatura ancestrale, che stento a individuarla come uomo o donna, osserva tutto ciò che lo circonda, non pensa, tanto meno può avere una logica; avverte nel corpo quelle sensazioni che poi si chiameranno stupore, paura.
Ci vorranno millenni per giungere alla riflessione, alla logica, alla dottrina.
Un percorso della mente lento, avvolto sempre dal sentimento e dalla paura.
Raziocinio e logica arriveranno a gradi.
Oso dire che anche oggi il raziocinio non ha ancora la sua completezza, tanto che molte cose, insite nell’umanità, restano come interrogativo: i cieli, le profondità della terra, la via degli astri.
Siamo soli nell’universo?
C’è nell’universo l’altro, gli altri? Delle viscere della terra, sappiamo proprio tutto?
Ciò che chiamiamo “neurologia” è tutto chiaro?
Tra gli studiosi dell’uomo primitivo appare che, prima della logica del pensiero, la persona umana è stata avvolta da mistero che sarà definito «il sacro» e dal sacro nasce il culto, anzi il «rito», lo stare insieme, il guardare in alto, arrampicarsi sull’albero, accendere un fuoco e danzargli attorno.
Un salto nel tempo.
Paolo, nella lettera a i Romani (3,25), parla di uno «strumento di espiazione» detto «propiziatorio», che ci riporta ad epoche ancestrali, diventato, all’epoca, un oggetto culturale del tempio di Gerusalemme, usato come coperchio dell’arca dell’alleanza.
Questo oggetto ancestrale, nel giorno del «Kippur», (riconciliazione ed espiazione) veniva asperso col sangue di animali sacrificati.
Gli studiosi del primitivo ravvisano in quell’oggetto e nei sacrifici il primo momento dell’umanità che inventa un culto verso ciò che avverte come sacro.
Nel tempo, l’umanità avverte sempre più una tendenza a guardare quanto gli sta attorno.
Nascono i sacrifici di cose e animali, assieme ad una poetica in cui ragione e fantasia si fondano per onorare il sacro che si pensa nei cieli e si avverte in sé.
Il «Padre nostro che sei nei cieli», insegnato proprio da Gesù, riflette questa dinamica del sacro «in alto a attorno».
Le due parole «Padre e cieli» lo dimostrano.
La figura del Cristo assomma in sé il divino e l’umano.
Nell’ultima Cena Gesù presenta «il suo corpo»: il divino, l’umanità, però, non lo sente solo nel cielo, ma accanto a sé.
Paolo, all’inizio della lettera ai Romani, indica quale è la vera preghiera:
«Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
Questo nuovo modo di vivere, «offrire i corpi», è «il vero culto spirituale».
«Corpo» elevato a «culto» diventa tipo della personalità umana elevata al massimo del suo essere.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia