Santa Lucia - di Mons. G.B. Chiaradia

Quando bellezza del viso e dell'infanzia si incrociano

12/12/2009
Lucia di Siracusa, martire del IV° secolo, ha l’onore di essere ricordata nel Canone Romano della S. Messa. La Sua festa, il 13 Dicembre, prepara il Natale perché ci ricordi che grandi si diventa se la scelta di vita è forte e decisa.
Altro onore Le viene attribuito da Dante che, nella Divina Commedia, definisce questa fanciulla «nimica di ciascun crudele» e la pone nel Paradiso «in cerca di Beatrice, per salvarsi dalla selva selvaggia delle passioni».
Una meraviglia di bellezza, fidanzata ad un ricco giovane. Sarà un matrimonio solenne che farà epoca, dato che il giovane fidanzato appartiene ad una famiglia molto in vista.
Ma che cosa succede? La mamma di Lucia si ammala gravemente ed è in fin di vita.
Lucia implora il Signore di salvarla e lo stesso giorno della preghiera di Lucia la mamma misteriosamente riprende vigore. Come ringraziare il Signore di tanta grazia?
«Offrirò la mia vita con la mia verginità».
Succede il finimondo. Il fidanzato insiste, ma Lei è decisa. «Voglio vivere soltanto servendo il mio Signore che ha salvato la mia mamma!»
Il fidanzato, allora, si rivolge al Proconsole di Siracusa, un tipo nemico dei Cristiani, anzi persecutore. Convoca la ragazza e le impone il matrimonio. Lei è decisa, sempre sorridente anche davanti alle torture spaventose e indicibili alle quali viene sottoposta dagli aguzzini. Viene uccisa con un colpo di spada alla gola. Ma prima dell’esecuzione in piazza, davanti ad una folla sbigottita, pronuncia un’orazione che la storia ha conservato: «Il corpo non è contaminato se l’anima non consente. Se tu proconsole mi fai violare, contro la mia volontà, la mia castità, meriterò doppia corona».
La forza, la tenacia, il coraggio sovrumano in questa fragile ragazza di conservare il proprio io ad ogni costo è tetragono.
Sente di essere chiamata a un dovere, non solo, ma anche ad un ruolo nella storia che indichi che, nella fragilità corporale esiste un coraggio da spavento che riporta al massacro allucinante del Calvario e alla spada che spezza il corpo di Gesù.
Per trovare tale impavida fortezza, devi guardare a questa fragile creatura. La gioventù tutta, specialmente quella femminile, deve confrontarsi con questa ragazza, se, per caso, nel tempo, dovesse affacciarsi ancora la crudeltà di quel proconsole di Siracusa, assieme al ghigno beffardo di Giuda.
Oltre il colpo di spada alla gola, la tradizione registra: «Infierirono nel suo fragile corpo crudelmente, specialmente negli occhi».
Subito l’arte della pittura e della scultura raffigurarono la vergine Lucia in atto di presentare, su un piatto, gli occhi divelti. Nella storia divenne patrona del mal di gola e delle malattie della vista.
Ma anche il suo nome «Lucia» divenne simbolo di tutti i toni di luce, da quella del mattino che ci punta negli occhi come una spada, alla luce tenua e dolorante del tramonto. Dalla luce che emana da un bimbo che ti saltella attorno, alla luce del poveretto che, nel marciapiede, ti stende la mano.
Dalla luce trionfante di un Battesimo alla luce mesta di un funerale. Dalla luce di un giovane viso che t’incanta, alla luce riposante di una nonna.
In questo giro di immagini che ti senti attorno, s’alza subito la preghiera: «Gesù Signore, che Lucia, la Santa di Siracusa, mi dia voce per parlare di Te. Che la parola mi esca forte dalla gola e i miei occhi s’accorgano sempre di chi mi passa accanto e vuole da me un sorriso, una parola forte e soltanto un pane che attenui il suo tormento.
Che Lucia sia luce sulla mia povera testa perché pensiero e parola non si perdano nel nulla».
Mons. Giovanni Battista Chiaradia