LA LUCE E LE TENEBRE di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

...sono le tenebre che ci debbono preoccupare...

13/05/2012

Parlare del negativo ci disturba. Vorremmo sempre la luce. Sono le tenebre che ci devono preoccupare, perché, quando sono intense, la luce non splende. Ripercorrendo i decenni passati non incontriamo la triste sequela di omicidi e suicidi, come nei nostri giorni. La morte è diventata la soluzione anche nell’ambito della famiglia, o per gelosie o per rivalse e, molto spesso per droga.

L’adolescente non ne è immune. C’è chi ha cercato la morte perché crede di non essere al pari degli altri, chi non ha resistito ad una sgridata, chi non ha superato un esame, o chi ha preso una multa col motorino. Che cosa succede? Si può fare solo il viso compunto il giorno del funerale e poi basta? È sintomatico che certi linguaggi, nati nel mondo della ricerca e del lavoro, siano finiti nel mondo della psiche sconvolta: così l’innocente parola “ruotine”, consuetudine, abitudine, ora significa per lo più la noia della ripetizione dei fatti o delle parole. “Stress”, a sua volta, ha iniziato la sua carriera nella metallurgia per indicare la deformazione del metallo in condizione di tensione; ora è finita nella persona che risente del logorio psico-fisico per lavoro e preoccupazione. Si parla inoltre di sindrome aziendale per super lavoro per poi scivolare nello sport, quando l’atleta è “scoppiato”, e per finire nel cervello che soffre di demenza mentale, quando non riesce a superare una prova o a vincere una difficoltà, come nel caso degli ultimi suicidi per via delle tasse.

Tutto il rovescio del detto latino “Acheronte movevo” usato da Freud come epigrafe d’apertura al suo testo: “Interpretazione dei sogni”. Ma Virgilio nelle Eneide concludeva: “Flectere si nequeo superos, Acheronte movevo” (Se non posso superare i celesti, caccerò via gli inferi), frase che esprime costanza, coraggio, per vincere gli “inferi” (le tenebre, la morte, la cattiveria).

Nel nostro tempo due momenti in antitesi? All’inizio del secolo prevalse l’idea del Risorgimento, una sintesi che, pur con tante debolezze, è stata un polo per capire e volere.

Alla fine, invece, sommersi dai morti dei lager e dalle stragi del sabato sera, è dilagante il filone filosofico del nulla esistenziale. Come è stata la nostra predicazione del Vangelo della Resurrezione? Oggi la parola Resurrezione deve diventare dominante: senza poesie, con realtà vere, senza discorsi patetici, altrimenti vince la filosofia di Hegel che pone il negativo come forma più intensa del positivo: può evolversi nel positivo più eccelso, ma anche nella negatività più spaventosa. Cristo Gesù ha previsto questa “escalation” del male e l’ha vissuta nella Croce. È stato ucciso perché si è presentato come Dio. L’invocazione in Matteo: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”, corrisponde in Paolo a quella dell’inno nella lettera a Filomene 2,6:”Cristo spogliò se stesso”.

La meraviglia, la commozione, l’inaudito sta precisamente li: in quel baratro di male Cristo ha ideato, realizzato, donato alla cattiveria umana la Resurrezione.