IL FIGLIOL PRODIGO di don Gigi Di Libero

...la domenica della gioia...

10/03/2013

 

Nella quarta domenica di quaresima i cristiani hanno la gioia di proclamare una delle pagine più belle in assoluto del Vangelo, e in specie del vangelo di Luca: la parabola di Gesù “del figliol prodigo”, come si dice il più delle volte, ma che oggi nelle migliori versioni del Nuovo Testamento si titola, molto più saggiamente, del “Padre misericordioso”.
Padre con la P maiuscola perché è evangelicamente evidente che Gesù ci stà tratteggiando la figura e lo stile di vita di suo Padre, cioè di Dio e del suo cuore infinito e inimmaginabile!.
La letteratura ci insegna che non solo i cristiani rimangono incantati e toccati davanti a questa pagina di Vangelo: anche i non cristiani, a volte atei e lontanissimi comunque dalla fede e dal viverla … Ci sono infatti testi stupendi nella letteratura che si rifanno a questa pagina.
Sono convinto che nessun uomo sarebbe stato capace di inventarla e di concepirla nelle dinamiche umane incredibili e provocanti che sottintende.
Chiedo scusa a chi mi legge, se non mi cimento con la parabola, ma, provocatoriamente parto da un mio frequente disagio che vivo quando, assai spesso, entrando in un confessionale per ascoltare le confessioni ritrovo tra le preghiere proposte al penitente per chiedere perdono, prima dell’assoluzione, proprio le parole del figliol prodigo: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.
Se il penitente la sceglie, confesso di non poter fare a meno di fare le mie rimostranze … un attimo di sconcerto ma poi ci si intende ed è mia esperienza che tutti i penitenti dopo lo smarrimento, con il sorriso sul volto, cambiano preghiera per chiedere perdono, cioè amore che dia gioia di vivere!
Bene, leggiamo questi testi di grandi esegeti sul figliol prodigo e la sua richiesta al padre:
Pensa di poter vivere da sé, con il proprio lavoro.
Ma ben presto si rende conto che, per quanto lavori, muore comunque di fame, come se non lavorasse affatto.
Sperimenta con amarezza che «nessuno gli dà» da mangiare, che la sua vita non ha prezzo per nessuno e che può anche morire.
Ha il riflesso di tornare verso l'unico che gli abbia dato non appena gli aveva chiesto, verso colui che, senza che fosse stato neppure necessario chiederlo, gli aveva dato la vita, si alza e va da suo padre; tuttavia non ha non ha ancora capito qual è la vera fonte della vita; continua a pensare che può assicurarsi da sé la sussistenza.
Certamente torna verso il padre, riconosce la propria colpa, ma non ha ancora l'umiltà di riconoscersi figlio, cioè uno che riceve tutto dal padre.
Non solo manca di fede nella bontà del padre, ma persevera nel proprio orgoglio di voler vivere da sé.
È tornato con l'idea di diventare «salariato», di voler vivere del proprio lavoro.
(ROLAND MEYNET)
Il massimo di miseria per l'ambiente biblico è evocato da questa situazione di schiavitù, di fame e solitudine fuori della propria terra.
In questo stato l'uomo ripensa con nostalgia all'ambiente paterno che offre la possibilità di soddisfare il primo bisogno essenziale: la fame.
Il racconto evangelico non intende offrire un paradigma del processo psicologico del peccato e della conversione.
Non è questo l'intento principale del racconto.
Anzi il giovane è così poco convertito che intende sfruttare ancora una volta la situazione familiare.
La sua confessione può essere anche sentita, ma è ancora equivoca e interessata.
Egli è disposto a barattare la sua condizione di figlio con il pane per sopravvivere.
 (RINALDO FABRIS)

Il cammino di ritorno inizia con un mutamento interiore «rientrò in se stesso»: il figlio comprende che la casa del padre non è una prigione, ma un luogo di libertà e di dignità.
Con questo diverso modo di ragionare il figlio compie un passo importante.
Ma deve subito compierne un altro: conoscere suo padre.
Difatti questo figlio non conosce ancora suo padre: è convinto di aver perso l'amore del padre e che debba di nuovo meritarselo lavorando come un servo.
 (BRUNO MAGGIONI)

Oggi è la domenicaLAETARE (cioè della gioia perché siamo a metà della penitenza quaresimale … ma soprattutto siamo vicini alla gioia incontenibile della risurrezione): non vi pare che sia bene che io non sopporti che chi si confessa si identifichi col figliol prodigo che, forse senza averne piena coscienza, esprime la più grossa bestemmia che si possa pensare di suo Padre: che non lo voglia più per figlio suo, carne della sua carne … Ma i papà che leggono non si ribellerebbero?
Bisogna sentire l’abbraccio infinitamente amante e affettuoso del padre che ci chiude la bocca e ci apre il cuore per non farci dire sciocchezze e dà ordini immediati: è tornato mio figlio che era morto… ridategli onore … potere … gioia di vivere nella sua famiglia … e soprattutto il mio amore incondizionato che non lo ha mai abbandonato! Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
E così sia per tutti e sempre!
 
don gigi di libero sdb
gigidilibero@gmail.com