SANT’IGNAZIO DI LOYOLA di p. Giovanni Arledler sj

...31 luglio...

28/07/2013

 

Più che un’omelia, questa credo che sia una sorta di testimonianza, dettata anche dall’elezione alla cattedra di Pietro di un religioso gesuita e dalla scomparsa, ancora recente, del card. Carlo Maria Martini, che nel conclave precedente era stato anche lui, per un giorno, tra i candidati alla nomina papale.

Il primo pensiero è che il lascito di sant’Ignazio di Loyola, rappresentato dall’esperienza degli esercizi spirituali e dalle costituzioni dell’ordine religioso denominato Compagnia di Gesù, non è rivolto a persone di spiccate e specifiche caratteristiche, persone che si somigliano, ma è improntato a quell’apertura e flessibilità tipica del Vangelo, che pure è così esigente. La lettura evangelica, sottesa a un celebre passo della Formula dell’Istituto della Compagnia di Gesù (n. 4), ricorda come la nostra vita si può paragonare alla costruzione di una torre o di un edificio: se questo non è fondato sulla roccia e ben compaginato, cede a ogni minimo soffio di vento.

Questo, almeno in parte, spiega l’appartenenza alla Compagnia di Gesù, in un modo eminente, di due religiosi apparentemente così diversi come Jorge Marius Bergoglio e Carlo Maria Martini.

Martini è già passato alla storia come un «profeta» e in un mio scritto l’ho definito addirittura un’«icona» (un testimone) per il nostro tempo, cosa che a lui, di natura timida e schiva, non ha fatto particolarmente piacere. Le definizioni, sia di profeta che di testimone, si attaglia, comunque, alla sua personalità e vocazione e sarebbe importante che tutti, da una semplice ammirazione, passassimo a trarre esempio dalla sua parola e dal suo comportamento (lo stesso vale per le parole e il comportamento di papa Francesco).

È arduo sintetizzare i suoi oltre 500 scritti: il volume dell’editrice Mondadori nella collana «i Meridiani» rappresenta un’antologia di circa 1800 pagine. Primo: il primato della Parola di Dio. Ce lo sta mostrando il papa, giorno per giorno, dalla piccola cattedra delle celebrazioni liturgiche nella sede di Santa Marta. Uno spunto, una riflessione sulle letture bibliche del giorno, da rimuginare durante la giornata, è la base per seguire un’autentica vocazione cristiana. Questa base ci consente di fare ogni giorno quello che il Signore ci chiede di fare: lo hanno detto in tanti, ai nostri giorni, come Madre Teresa di Calcutta.

Padre Martini ci ha lasciato, di sicuro, almeno un altro insegnamento importante, stampato nel suo motto da vescovo «per amore della verità, abbracciare le avversità» (dalla regola di papa san Gregorio Magno) e così anche i contrasti, le critiche feroci. È difficile spiegare tutto ciò perché in passato era ritenuto addirittura un valore o una forma di rispetto (di fronte a chi rappresentava un’autorità più grande della nostra) non far presente una posizione, una verità, una critica, su questioni importanti. Nei suoi anni di arcivescovo, questa verità esigente ha riguardato la vocazione di ogni cristiano che deve concretizzarsi in piccoli servizi, prima di maturarsi in scelte importanti, come quelle del servizio più rischioso in paesi lontani dal nostro. Inoltre, la vocazione sacerdotale (ed episcopale) non deve essere portata avanti «alla meglio» o per interessi, ma nello zelo di edificare delle vere comunità, che crescono di continuo nella carità e nel senso di cosa rappresenta e testimonia la Chiesa.

Molti hanno compreso che gli ultimi anni e mesi di malattia, sempre più debilitante, offerti insistentemente da padre Martini per il bene della Chiesa, della diocesi di Milano e della Compagnia di Gesù, hanno avuto frutti come quello dell’elezione di Papa Francesco.

Jorge Bergoglio ha sorpreso per il saluto della buona sera e per l’augurio di una buona cena! Ci si accontenta di poco! Poi lo abbiamo visto rompere di continuo il protocollo per abbracciare un malato e fare qualche gesto di simpatia o raccomandazione paterna. Ha cercato di mettere in secondo piano tanti formalismi (gli altri pontefici avevano fatto dei piccoli passi fin dai tempi del Concilio) e lo sta facendo, quanto capita l’occasione, con  atteggiamenti e scelte che superano i formalismi o le convenzioni, come quella di assistere a un concerto. Sta mettendo mano a riformare il malcostume del Vaticano: è di una gravità inaudita che le carte di credito e il bancomat delle banche del Vaticano siano state bloccate da mesi perché ancora servono per il riciclaggio di denaro sporco! Poi è stata detta una parola perché ci si apra a una Chiesa in cui la responsabilità delle scelte importanti siano condivise con tutti i vescovi… Saremo beati se queste parole non saranno lette in chiave politica o sociologica, ma nello spirito delle beatitudini evangeliche, in quello spirito in cui ognuno impara a trovare applicazioni nella vita personale, nel continuo stabilirsi in uno spirito di bontà, semplicità e pace. Amen!