NELL'ULTIMA CENA… di mons. Giovanni Battista Chiaradia

…Gesù presenta se stesso: Corpus Domini...

07/06/2015

Penso la festa del Corpus Domini come sintesi di tutto il messaggio che Gesù ha voluto donare alla Storia. Un messaggio fatto non solo di parole, ma di concretezza “vivente”.

Che una persona sintetizzi tutto il suo pensiero, mediante la presentazione della sua fisicità è inaudito. Non si può pensare di memorizzare un Manzoni o un Dante con il corpo, bisogna fare una sintesi del loro pensiero e della loro azione. Gesù, invece, in quell’Ultima Cena, sapendo che sarebbe stata proprio l’ultima, presenta se stesso. Avremmo voluto una frase complessiva della sua dottrina per poterci riflettere e farne un esempio del dire e del fare quotidiano.

Questa è stata nella storia la consuetudine di ogni pensatore tanto che, nel tempo, l’individuo da quei detti, possa continuare a pensare, a dire sempre più e sempre meglio.

Così si presenta il percorso della civiltà, attraverso un discorso sempre più vasto, più interiorizzato e soprattutto nuovo. Gesù non ha voluto dare una sintesi della sua dottrina, della sua parola.

Il suo dire lo troviamo nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli, spezzettato nelle sue apparizioni quotidiane: nel tempio o in quei momenti solenni in cui voleva evidenziare il momento, come il Discorso della Montagna e altri. Gesù, prima di uscire dalla scena di questo mondo per assumere un’altra miracolosa presenza che puoi trovare dappertutto, se ti fermi in silenzio e cerchi di ascoltare nella meditazione e nella preghiera, ci ha sorpreso che, nell’ultima Cena, prendesse un pezzo di pane e dicesse: “Questo è il mio Corpo” “Fate questo in memoria di me”.

Quel “memoria di me” sul pane mi dice espressamente, in modo sintetico tutto il suo essere, ma soprattutto il suo dare. Lì c’è tutta una letteratura che non può essere espressa soltanto con parole.

Se cerchi, come diciamo spesso, di seguire le sue tracce, i suoi gesti, le sue parole, bisogna dapprima capire perché ha detto “questo è il mio Corpo”.

La prima Chiesa formata dai Dodici Apostoli e da Paolo, corroborata già nei primi giorni da chi, in silenzio, ma con attenzione come Giovanni ed oso dire anche la Maddalena, aveva inteso molto bene che non si trattava solo di una memoria verbale, ma di una concretezza.

Il “fate questo in memoria di me” significa che nel tempo quelle parole sul pane e sul vino avevano il timbro di una concreta presenza Sua, proprio nel pane e nel vino.

La Chiesa ha voluto evidenziare questo dono con terminologia sua: “transustanziazione” per indicare la conversione del pane e del vino nel corpo di Gesù. Ma anche questa terminologia è impropria perché rischia di intendere il sacro, nel suo significato indicibile, come una manifestazione. Quel momento dell’Ultima Cena in cui Gesù pronuncia “Questo è il mio Corpo” “Fate questo in memoria di me”, va inteso così come si presenta.

È un salto nelle zone del sacro che non può essere definito con espressione logica.

La Comunione, che indica il Gesù di Nazareth “mangiato e bevuto” fa parte del nostro corpo, donandogli la meraviglia dell’infinito contro la povera relatività della nostra entità carnale. È “Comunione” con il Suo corpo che ti rende partecipe di ciò che è aldilà delle cose che tocchi e vedi nella pesantezza del passo umano, nei ritmi del tempo e, nello stesso tempo, ti trasporta non tanto in un concetto quanto nell’idea del divino, in un corpo che è vissuto come tale, come il mio e il tuo, che però è infinitamente oltre le tue cellule vitali, oltre la tua carnalità, la tua ossatura. Allora tu, quanto ti accosti per riceverlo, sta zitto, non ti muovere perché Lui ha tante cose da dirti che non sai, che però Lui ti dice, se stai zitto, attento.

Non cantare subito, aspetta. Ferma la mente, pensa solo a Lui, è il momento in cui la persona si rende capace di affrontare il mistero, anche se non lo comprende, ma si immerge in esso.

Basta poco, qualche minuto intenso, anche  se attorno c’è rumore.