Sanremo in predica

Alcune considerazioni sul Festival di Sanremo e su un paio di canzoni in particolare

02/03/1997

Se Sanremo è - come scrive qualcuno - lo specchio dell'Italia, bisognerebbe concludere che l'Italia (cioè la nostra gente) è veramente "povera di spirito", ma non nel senso evangelico.

Non ne sono convinto, anche se, a Sanremo '97, hanno vinto canzoni le cui parole (non diciamo della musica) non avevano un gran senso.

Non a caso - si potrebbe dire scherzando! - hanno vinto i Jalisse con "Fiumi di parole", proprio come i fiumi di parole di questo festival, salvo rare eccezioni.

Eppure, anche questo festival offre qualcosa che fa pensare. La canzone "Padre nostro" (oltre a quella del "Papa Nero") aveva un significato. Grande.

Era una canzone-preghiera, del gruppo ORO. Prima considerazione: forse proprio perché aveva un significato vero e profondo, dicono che in sala stampa i giornalisti le si siano scagliati contro e abbiano pensato di organizzare sul palco una serqua di bestemmie. Poverini! Il vuoto...

Ma e' proprio solo vuoto? Seconda considerazione: "Padre nostro" e' una canzone che invoca Dio nella drammatica situazione dell'esistenza attuale: "Dove sei stanotte tu, se la gente adesso va in un mare non più blu? Devi dirci dove sei; quanto male si e' fermato qui! Dove sei finito?"

Invoca; non mette il dubbio sull'esistenza di Dio: "Quando sei venuto giù questo mondo non capì ti coprirono di spine; in un lontano venerdì molti risero di te." E' quindi una canzone che crede in Dio: "Dove sei, stanotte ti cercherò".

Terza considerazione: invoca Dio, ma non si nasconde l'ansia del vivere ("dove sei che questa luce adesso non ritorna più") e quindi, in un certo senso, non si nasconde nemmeno l'ansia e la tentazione del non credere.
In questa situazione, la volontà di credere e' ancora più meritoria.

E la fede, che e' un dono, seguirà come premio di quella volontà, nonostante l'ansia.

Quest'ansia del vivere attuale - certamente alimentata e quasi esasperata e resa quasi di moda dai mass media che puntano soprattutto sul sensazionalismo - l'hanno espressa, in un modo o nell'altro, quasi tutte le canzoni del festival.

Cito a esempio solo la canzone "Voglio un dio" (con la d minuscola). E' una canzone quasi blasfema: "voglio un dio anche se non credo"; "voglio un dio che no non faccia miracoli, ma che renda i miei giorni più magici, si avvicini alle mie verità.

Chi sei tu - viene da chiedere - che vuoi un dio che venga a farti da servitorello anche nelle tue sciocchezzuole? Sai o non sai chi o che cosa e' Dio? Se lo sai, non dovresti parlare così; se non lo sai, perché in qualche modo lo invochi?

Vuol dire che ne senti il bisogno; e, se ne senti il bisogno, vuol dire che e' lui che questo bisogno te l'ha messo dentro, perché sarebbe sciocco che ti creassi tu un bisogno che non puoi soddisfare. Te l'ha messo dentro, affinché tu apra gli occhi. Tu, invece, praticamente lo bestemmi solo perché non riesci a soddisfare i tuoi capricci !

Eppure anche questa canzone dimostra quell'ansia di Dio - clandestina - cui accennavo; anch'essa esprime uno spirito angosciato: "Voglio un dio; più lo cerco e mi perdo nei vicoli, più lo voglio e capisco i miei limiti; lo consiglio anche a chi non ce l'ha." Più chiaro di così !

Come mai, allora, questo contrasto?

E' la superbia, mortadella sugli occhi, che non permette di capire che il Dio che si cerca e' proprio lì ad aspettare ("un dio che sostituisca i miei impegni manchevoli"; "che faccia lui quel che non faccio io").

Aspetta, ma non per servirci nella nostra sciocca superbia o nelle nostre vuote fantasie. Aspetta per aiutarci veramente e soddisfare le nostre giuste esigenze, anche in modi che noi, lì per lì, non riusciamo a capire.

Tra queste due (e altre) canzoni, c'e' un abisso, ma anche una grande ravvicinanza: la vicinanza è il bisogno di un qualcosa di superiore - Dio, appunto ! - che venga in aiuto e ci accompagni; l'abisso e' a causa della superbia (il peccato originale) che vorrebbe Dio al servizio nostro e non noi - sue creature - al servizio suo.

Quindi, anche da un festival vuoto di senso, pieno invece di fantasmagorie allucinanti, si può cogliere qualcosa di buono: naturalmente per un buon intenditor !

A risentirci!

 

P. Nazareno Taddei sj