Santificare le feste

Nell'era del consumismo più sfrenato si dà più importanza agli acquisti che alla santificazione delle Feste. Perché?

18/12/1997
La sig.a G. G. mi internetta: "Ha visto il quotidiano L'Avvenire di mercoledì 17 dicembre? mette in prima pagina una finestrella su "Santificare la festa nell'era del consumo" e dedica poi una quasi intera pagina di "Cattolica". Cosa ne dice? Dico che:
a) nella finestrella che Lei cita, il giornale scrive: "Nei giorni di Natale saracinesche alzate anche di domenica. Ma il precetto festivo è passato di moda?" Il giornale quindi restringe il precetto festivo al problema dei negozi aperti nei giorni di festa; ma - e fa bene! - mette un punto interrogativo.
Nella pagina di "Cattolica", poi, l'articolo da Bari e la finestrella da Rimini restringono ancora una volta il problema del precetto festivo a quello del lavorare di domenica. Infatti, l'articolo sottotitola "Shopping e rispetto del precetto festivo: un difficile matrimonio" e mette nel Sommario "Da Bari un appello: obiezione di coscienza alla logica del vendere e comprare".
La finestrella da Rimini titola: "Il vescovo: sono con voi" e sottotitola "Nella mecca del turismo le commesse chiedono di liberare la domenica"; ma precisa: "Condivido - parole del Vescovo - la posizione delle commesse che vogliono tener chiusi i negozi la domenica, per dedicarsi alla famiglia e alla santificazione del giorno del Signore." (notare quel "per" che precisa quel "condivido").
La finestrella conclude: "Per la Chiesa di Rimini l'apertura dei negozi la domenica può essere accettata solo in casi eccezionali, ma non può essere generalizzata." Quindi: due Chiese particolari, Bari e Rimini, non "tutte" le Chiese, limitano il concetto del precetto festivo al vendere e comperare, ma la precisazione del Vescovo di Rimini e della sua Chiesa è ben chiara.
Noto che viene messo il problema tanto per chi compera quanto per chi vende. Comunque, il punto interrogativo segnalato nella prima pagina di Avvenire pare non messo a caso. E la risposta potrebbe finire qui.
Ma cerco di allargare un po'.
b) Anzitutto il concetto del precetto festivo non è quello del non vendere e del non comperare nei giorni di festa (questo è solo un "quantum"); bensì è il "quale", sottinteso (almeno spero) da quel punto interrogativo e indicato dalle precisazioni del Vescovo di Rimini. Più precisamente, esse corrispondono a quello che dice il "Catechismo della Chiesa Cattolica" (parte 3", sez. 2", art. 3), il quale a sua volta cita punti vari del Codice di Diritto Canonico.
Sostanzialmente, il pensiero della Chiesa (riferisco qui alcuni stralci di quel Catechismo) è il seguente: "2177. La celebrazione del Giorno e dell'Eucarestia del Signore sta al centro della vita della Chiesa. (...) 2180. Il precetto della Chiesa definisce e precisa la legge del Signore: La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di partecipare alla Messa." (...) 2181.
L'Eucarestia domenicale fonda e conferma tutto l'agire cristiano.
Per questo i fedeli sono tenuti a partecipare all'Eucarestia nei giorni di precetto, a meno che non siano giustificati da un serio motivo (p.e. la malattia, la cura dei lattanti o ne siano dispensati dal proprio parroco). (...)La sostanza del precetto festivo è quindi la partecipazione all'Eucarestia o, nei casi di necessità, supplendo con momenti di meditazione e di preghiera.
Non si parla né di lavorare né di non lavorare: vediamo più avanti. Il catechismo continua: "2185. Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si asterranno [si noti la forma verbale] dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo.
Le necessità familiari o una grande utilità sociale costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del riposo domenicale. I fedeli vigileranno affinché legittime giustificazioni non creino abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute."
E citando S. Agostino (De civitate Dei,19,19), Il Catechismo, ivi, aggiunge: "L'amore della verità cerca il sacro tempo libero, la necessità dell'amore accetta il giusto lavoro." Quindi, sono interdetti "lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio ecc.": la precisazione è assolutamente chiara. Il Catechismo precisa ancora ai punti 2187 e 2188: "Santificare le domeniche e i giorni di festa esige un serio impegno comune.
Ogni cristiano deve evitare di imporre senza necessità ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore. (...) La legislazione del paese o altri motivi obbligano a lavorare la domenica, questo giorno sia tuttavia vissuto come il giorno della nostra liberazione. (...) Quando i costumi (sport, ristoranti, ecc.) e le necessità sociali (servizi pubblici, ecc.) richiedono a certuni un lavoro domenicale, ognuno si senta responsabile di riservarsi un tempo sufficiente di libertà. (...) I pubblici poteri vigileranno per assicurare ai cittadini un tempo destinato al risposo e al culto divino.
I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti. (...)" Per finire, cito una frase del "Dizionario enciclopedico di teologia morale" delle Ediz. Paoline 3.a edizione a pag. 1179: "La morale tradizionale circa il precetto del giorno festivo va certamente riveduta, ma non fino al punto da auspicare l'abolizione del precetto festivo stesso." In altre parole, teniamoci fissi alla corretta interpretazione dei testi sacri, senza lasciarci abbindolare da motivazioni sensazionalistiche e quindi senza sufficiente spessore razionale.
Ecco dunque non tanto quello che penso io, bensì quello deve pensare ogni buon cristiano: il problema non è il "quantum" e non ci si può formalizzare su di esso, che pure ha la sua importanza; il vero problema è il "quale"; cioè l'Eucarestia, il riposo della mente e del corpo.
Tant'è vero che la Chiesa stessa ammette valida, ai fini del Precetto, anche la Messa ascoltata il sabato pomeriggio. In conclusione mi chiedo: quanti - anche tra quelli che protestano per il lavoro festivo - lo rispettano nel senso che si è detto? quanti fanno un vero riposo del corpo e anche dello spirito? E' forse riposo del corpo e dello spirito imbarcarsi in lunghe file di macchine sulle autostrade o immergersi nella marea delle discoteche o delle spiagge e cose simili? E, direi, anche se magari si è andati alla Messa (ma quante volte succede?).
Cerchiamo, allora, di essere cristiani e non egoistici manichei. I tempi sono certo cambiati e il compiere certi lavori di natura sociale (come il servire nei ristoranti o nei negozi o negli ospedali) o sulla base di esigenze ormai invalse, e contro le quali noi non possiamo far niente, non è violare il precetto festivo, bensì può essere proprio un celebrarlo profondamente, qualora lo si affronti con lo spirito cristiano di servizio e di soddisfacimento di esigenze anche personali e familiari.
Tutt'altro problema, invece, è la mancanza di rispetto per il precetto festivo. Questo sì è il vero peccato, si lavori o non si lavori.
Sempre a disposizione
P. Nazareno Taddei sj