Muoversi?

La Chiesa comincia a muoversi nell'ambito della comunicazione di massa; un po' tardi, ma comunque...

02/07/1999

Il sig. (o sig.ra) M. C. mi internetta: "Vedo che alcuni Uffici della Cei [Conferenza Episcopale Italiana] organizzano tutta una serie di Convegni su argomenti attinenti le materie nelle quali Lei (per quello che ne so) è stato forse il primo a occuparsene già da qualche decennio; però non La vedo mai citata. Come mai? In conclusione, cosa pensa di tutte queste iniziative?"

Rispondo: anzitutto, penso che M.C. si riferisca ai Convegni sulla Messa televisiva di Frascati, sulla catechesi di Rimini, su comunicazione e cultura di Chianciano, sull'aggiornamento dei preti di Catania o altri simili, cioè sugli ambiti pastorali in cui ho lavorato e lavoro da 50 anni, ma sotto il preciso profilo della comunicazione e della comunicazione di massa.

La risposta sul perché io non vi sia stato invitato, sì da potermi citare, converrebbe chiederla agli organizzatori.

Può darsi che qualcuno di essi, probabilmente troppo giovane, non sappia nemmeno che altri, e io, abbiamo già operato utilmente, proprio affrontando quei problemi.

Può darsi anche che qualcuno - forse non troppo bene informato - pensi che, oggi, il lavoro di noi pionieri non interessa più nessuno o è superato.

Non spetta a me né giudicare né, per quanto possa non essere d'accordo, entrare in polemica.

Se invece mi si chiede quello che penso di queste iniziative, dico subito che ne sono molto, ma molto, contento, perché finalmente anche nella Chiesa italiana - a distanza di 36 anni dalla "Miranda prorsus" del Concilio e soprattutto a 9 anni dalla "Redemptoris Missio" del Papa attuale - ci si comincia a muovere in questi ambiti che sono veramente basilari per l'apostolato attuale.

Un po' tardi, ma - speriamo - sicuri, come dice il proverbio. Su questo "sicuri", cioè sul "come" ci si muova, non posso dire molto, perché a nessuna di quelle iniziative ho potuto assistere, dal momento che nessuno mi ha informato che erano state organizzate.

Soltanto a quella della Messa televisiva, quando ne ho avuto casuale notizia, ho fatto chiedere di poter presenziare, ma è stato risposto che gli ingressi erano già esauriti. Pertanto, le uniche informazioni che ne ho potuto avere sono i resoconti - e piuttosto stitici - dell'"Avvenire".

Un po' pochino, per la verità; tanto più che probabilmente la realtà è diversa da quello che risulta da un resoconto giornalistico.Ma questi resoconti sono pur attendibili, almeno fino a un certo punto.

E allora - pur con tutte le riserve del caso - credo di poter esporre la mia impressione, che cioè mi pare che nessuna di quelle iniziative sia partita o si sia sviluppata sul problema di fondo, quello della "nuova cultura", che il Papa, nella citata "Redemptoris Missio" all'art. 37, pone come basilare."Il primo areopago del tempo moderno - scrive il Papa - è il mondo della comunica-zione: i mezzi di comunicazione sociale [mass-media] hanno raggiunto una tale im-portanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali familiari, sociali (…) ; l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso." E specifica: "È un problema complesso poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche [del comunicare, a causa delle nuove tecnologie] e nuovi atteggiamenti psicologici."

E questo "primo areopago", continua il Papa, per importanza, viene prima ancora di "molti altri areopaghi del mondo moderno, verso cui si deve orien-tare l'attività missio-na-ria della Chiesa.

Ad esempio, l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione di popoli; i diritti dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle mi-noranze; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato (...) inoltre il vastissimo areopago della cultura, della ricerca scientifica, dei rapporti in-ternazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vita."Da notare che queste indicazioni sono magistrali anche per il loro aspetto scientifico: la comunicazione e particolarmente la comunicazione di massa sono oggetto di una nuova scienza, la quale appunto ha appurato che la mentalità è per circa l'80% all'origine del comportamento; e che la "mentalità massmediale" (quella "nuova cultura"), oggi, è quantitativistica e secolaristica, quindi praticamente materialistica.

Che è il contrario d'una mentalità cristiana o comunque religiosa.Che meraviglia, dunque, se si verificano quei fenomeni che preoccupano anche la Chiesa italiana, tanto da muoverla sollecitamente - e finalmente - a quei convegni?Ed è ovvio: tutte le varie forme d'apostolato sono forme di comunicazione; e l'influsso dei mass media, che è sempre più incisivo, ha cambiato i modi della comunicazione.

Ma se non si attende adeguatamente a questi nuovi "modi", come si può fare comunicazione e quindi apostolato efficace? È quindi ovvio che tutti quelli che fanno comunicazione - tutti i sacerdoti, tutti i diaconi, tutti i catechisti, tutti gli educatori e in qualche modo anche i genitori - devono sapere di quei "nuovi modi di comunicare", altrimenti è come parlare italiano con dei cinesi.

Sì qualcosina, a gesti o con toni di voce, si potrà anche comunicare, ma non è una comunicazione piena, come deve essere quella pastorale.

Del resto, anche lo "Strumento di lavoro" dell'Ufficio comunicazioni sociali della Cei specifica che "la pastorale della comunicazione non si identifica con quello della cultura, ma persegue l'obiettivo di dare spessore culturale a tutta l'azione pastorale; (…) non si configura come un settore ma come una nuova modalità di pensare e realizzare l'azione pastorale delle Chiese che sono in Italia." Che è poi quello che l'ultima Congregazione generale dei gesuiti ha messo tra le nuove Regole affermando che "la comunicazione deve essere come il fondamento, la dimensione, di ogni apostolato (…) per tutti i gesuiti e non solo per alcuni specialisti".

Questo "fondamento" "dimensione" si ottiene anzitutto con un'adeguata conoscenza dei dettati della scienza, i quali si trovano un po' più in là delle considerazioni spontanee ed empiriche, anche belle e intelligenti, che mi pare abbiano riempito - stando ai resoconti giornalistici - quei Convegni.

Senza basi scientifiche, le conclusioni operative saranno tentativi che faranno più perder tempo che progredire, come l'esperienza di questi ultimi decenni insegna. Noi pionieri, vecchi e superati, ci siamo curati e curiamo proprio questa dimensione; e siamo in attesa che anche i nuovi incaricati della pastorale si rendano conto che certe cose che pensano essere punto d'arrivo sono invece e devono essere - come è stato per noi - il punto di partenza.

Ci vuole certamente buona volontà, perché il cammino non è facile, ma anche un pizzico di umiltà per mettersi a lezione da chi lo ha già percorso pur con qualche ferita.

Sempre a disposizione, cordialmente
 
P. Nazareno Taddei sj