Tranquilli e paura

Come si comporta un cristiano di fronte ai terribili fatti di sangue che stanno avvenendo? Ha paura come gli altri, oppure...

16/10/2001
Il sig. C.M. mi internetta: «Un cristiano deve star tranquillo anche se ha paura?»
Rispondo che, se mi imposta il problema a quel modo (cosa vuol dire, p. e., quel «deve»?), mi è difficile rispondere; ma il problema della tranquillità e della paura in rapporto alla fede può essere molto serio e anche molto attuale.
Tranquillità e paura sono due stati d’animo, che si muovono più nell’ambito psicologico ed esistenziale che in quello morale, salvo particolari rapporti o sviluppi.
 
Cerchiamo di vedere un po’ meglio.
Particolarmente dopo i tragici fatti dell’11 settembre a New York e Washington è cominciata una situazione che certamente non può lasciar tranquillo nessuno. I governanti – giustamente – devono evitare che subentrino situazioni di panico e quindi danno assicurazioni tranquillizzanti. Ma la realtà è diversa: quei diavoli della «guerra santa» non vanno per il sottile: toccano dove toccano, senza badare a ciò che è lecito e non è lecito o addirittura diabolico.
In questa situazione, infatti, ciascuno di noi, anche se non c’entra nulla con le questioni internazionali, può essere coinvolto a sua insaputa. Si pensi anche solo a quella diavoleria di antrace che ha mandato al Creatore un impiegato in Florida e che comincia a farsi notare anche in Europa..
Si può stare tranquilli in una situazione del genere? Certo che no. Ed è sufficiente cullarsi nell’illusione che «a me non tocca»? Altrettanto, certo che no. E direi che è altrettanto insulso dimenticare la paura distraendosi nel e col divertimento più o meno lecito e sfrenato.
D’altra parte, non è nemmeno possibile vivere di sola angoscia.
E allora?
 
Il vero cristiano ha una via d’uscita ed è quella che dirò, anche se può sembrare pazzesca o addirittura marziana; ma è perfettamente e semplicemente cristiana e c’è da sempre. È quella adombrata da quanto dicevano e dicono ancora i nostri vecchi: «Sarà quel che Dio vorrà!»
 
Merita una qualche illustrazione.
La sostanza del problema è: non si può avere tranquillità perché c’è paura; la paura c’è per un male certamente incombente, almeno in quanto possibile.
Proviamo a invertire: l’incombente non è un «male», almeno per me che lo devo subire; quindi la paura per me non ha ragione di esistere; quindi posso essere tranquillo.
Ma come si fa a non considerare «male», una malattia, una distruzione di cose o persone care, la stessa morte?
I veri cristiani l’hanno fatto da sempre: dal protomartire Stefano, che vedeva i cieli aperti mentre lo lapidavano; a frate Kolbe, che, nel campo sterminio nazista, si offriva sereno al posto d’un padre di famiglia.
Ma erano santi e martiri! No! «Talis vita, talis mors (la morte è stata come la vita)»; non erano santi dichiarati quando si comportavano a quel modo. La Chiesa li ha dichiarati dopo per la loro vita e per la loro morte da veri cristiani. Ma non erano e non sono eccezioni.
S. Ignazio di Loyola, fondatore del gesuiti, ha messo la cosiddetta «indifferenza ignaziana» alla base della formazione dei suoi e di chi vuol vivere cristianamente. «Indifferenza» vuol dire accettare con profonda convinzione il bene e il male che ci può succedere.
Non è stoicismo. Lo storico è indifferente al bene o al male che gli può succedere perché si affida al fato, al destino, contro il quale non si può far niente. È qualcosa di puramente soggettivo e psicologico, basato sul vuoto, perché il fato non esiste. Ciò che esiste è una serie concatenata di cause e di concause, che non attinge quella concezione vuota e senza basi.
L’indifferenza ignaziana, anzitutto, non è basata sul vuoto, bensì sul fatto che esiste un Creatore infinito che tutto governa con infinito Amore e sa trarre il bene anche dal male. In secondo luogo, è una continua ripetizione di atti di fiducia e di amore nel Creatore che ci è anche Padre e che sa trarre tutto, anche il male, per il nostro bene. Quindi, il male eventuale che ci può capitare è di fatto un bene, un dono dell’Amore infinito. La fiducia e l’amore per Dio, quindi, è ciò che dà consistenza all’indifferenza cristiana. Da parte nostra si richiede solo il sapere e l’accettare - con un atto di volontà e non necessariamente col «sentire» - che tutto, anche il male, è dono di Dio.
Tutto si riduce, quindi, a quello che noi vogliamo fare.
Francamente, non è facile - sotto il profilo del «sentire» - entrare nell’ordine di idee di accettare anche il male come dono di Dio, perché noi confondiamo sempre tra sensitività e libera volontà, soprattutto nel clima di confusione mentale secolaristica oggi dominante.
La mentalità massmediale odierna «fa prendere il ciò che appare per il ciò che è e il ciò che si sente per il ciò che vale». Significa praticamente che, per noi, oggi, purtroppo e senza che noi ce ne accorgiamo: «vale ciò che piace, non piace ciò che vale».
Superare questa sfasatura del nostro modo di sentire odierno è il passo forse più difficile da superare. Infatti, se pretendiamo di «sentire», cioè di provare il gusto di vedere anche nel male un dono dell’amore di Dio, ben difficilmente arriveremo alla tranquillità agognata. Se invece, ci sforzeremo con gli atti della nostra volontà anche contro il nostro gusto ad abbandonarci nella braccia di Dio, ch’è nostro Padre infinito nell’amore, nella misericordia e nella giustizia, un po’ alla volta riusciremo a entrare nella dimensione opportuna di serenità gioiosa: «CI PENSA LUI» e siamo in buone mani.
Ovviamente, possiamo e dobbiamo chiedere a Lui, attraverso la Madonna, che ci aiuti.
 
Sempre a disposizione, cordialmente.

 

P. Nazareno Taddei sj