I giovani assassini a Porta a Porta

Erika e Omar, i due giovani assassini usati dalla TV per far leva sulla curiosità più morbosa che spettacolarizza tutto e tutti.

23/02/2002
Il sig. A.G. mi internetta: «Ho appena visto stasera (20.02.02) a “Porta a Porta” la puntata su Erika e Omar. Se l’ha vista, cosa ne pensa?»
 
Rispondo: cosa penso di trasmissioni di questo genere, ho già risposto con la mia predica n° 144 del marzo scorso («Giovani assassini») e anche con vari richiami qua e  là in queste Prediche.
Ma volentieri rispondo alla domanda di A.G.: sì, l’ho vista e per l’ennesima volta ripeto anche qui in pubblico, che non è lecito discutere - in tv – su casi di questo genere, a meno che non si tratti di particolari circostanze in funzione socio-educativa e dopo aver  assicurato tutte le precauzioni di rispetto, anzitutto di detta funzione e poi di tutte le persone interessate al caso, ivi compresi i telespettatori.
Il che non mi pare sia stato rispettato nella puntata cui ci si riferisce. Chiedo infatti: perché impostarla  su due precisi nomi di colpevoli condannati, se si voleva trattare del problema di «colpa e sanzione» per minorenni?  Pare evidente l’intenzione spettacolare in funzione di curiosità morbosa.
Ma poi: che cosa si voleva venire a sapere? La bontà o la non bontà dell’attuale legislazione? L’a­de­guatezza o l’inadeguatezza dei magistrati nella giustizia per i minori? La sufficienza o la non suf­fi­cienza dell’affidamento dei casi agli esami psico-psichiatrici? La vera o solo presunta possibilità di recupero di questi poveri giovani? E perché, nel caso, non inserire il fondamentale aspetto morale e pedagogico? ecc..
 
Lo stesso Bruno Vespa, a un dato momento, ha dichiarato che, a quel punto della discussione, del fenomeno, aveva capito meno di quanto non sapesse prima di cominciarla.
Dichiarazione molto interessante, perché dovrebbe far capire agli organizzatori che in certi argomenti delicati non basta imbastire una puntata sull’esito spettacolare degli interventi che fanno spettacolo. Da parte però dei teleutenti potrebbe aiutare a rendersi conto dell’insufficienza, anzi della pericolosità, ai fini di verità e di conoscenza del mondo, di certi salotti televisivi; che pur trattano – ma inadeguatamente – di problemi di grande attualità per il pubblico.
 
Quella puntata ha messo in luce alcuni aspetti interessanti, per quanto tristi, della situazione odierna; s’è parlato (e anche contrastato) circa le «famiglie patologiche», dalle quali non è da stupire che nascano, appunto, fenomeni patologici. Ovviamente,  contrasto tra chi dice che più o meno tutte le famiglie possono essere patologiche e chi lo nega e chi giustamente si chiede come fa una famiglia a sapere se è o non è patologica (ma non s’è risposto).
 
Di tutta quella puntata, penso di cogliere un solo punto: tanto don Mazzi quanto don Ciotti, sacerdoti dediti praticamente e generosamente alle problematiche dell’odierna gioventù,  hanno affermato come problema di base e non risolto quello della necessità anzitutto di conoscere cosa sono veramente gli adolescenti oggi; anzi don Mazzi ha addirittura accennato a una categoria di «nuovi adolescenti», di cui – ha detto – non conosciamo assolutamente nulla. Anche il noto fotografo Oliviero Toscani ha affermato tale necessità, lasciando però capire (solo un accenno di passaggio) che non si dovrebbe trascurare la realtà dei mass media.
E’ stato l’unico accenno alla componente - che è veramente -  del fenomeno; e che anch’io sto adducendo da quasi 50 anni, ovviamente inascoltato a destra e a sinistra.
 
Gli adolescenti, oggi, sono nati tutti dopo il 1953, anno dell’arrivo della tv in Italia. Ma i «nuovi adolescenti» sono figli o addirittura nipoti di chi è nato dopo il 1953.
Come dicevo nella citata Predica 144, più sul serio che sul faceto, «chi è nato dopo il 1953, con un occhio guardava il seno materno e con l’altro la tv». Ovviamente non capiva niente di quello che vedeva; ma, nel fondo della sua vita conoscitiva in formazione, gli si andava formando, come «esperienza previa»,  la confusione tra realtà e finzione, donde p.e. la base dell’attuale mentalità di «prendere il ciò che appare per il ciò che è e il ciò che piace per il ciò che vale».
Ed è un aspetto di fondo; ma poi c’è l’altro aspetto, altrettanto fondamentale, del nuovo tipo di linguaggio – quello «contornuale» (basato sugli aspetti concreti materiali sensibili delle cose) – che si sostituisce a quello pervenutoci dai millenni della cultura greco-latina, impostato sui segni «concettuali» (parole, simboli, certi tipi di gesto).
 
Il discorso non si può liquidare in poche righe (se qualcuno è interessato, può scrivermi direttamente e cercherò di rispondere); ma posso e devo almeno accennare al profondo cambio del modo di intendere e di esprimersi, da ciò derivante. Sono due sistemi di comunicazione profondamente diversi; dal sistema deduttivo, si è passati a quello induttivo e relative impostazioni dello stesso linguaggio (parole, gesti, immagini): da Roma a Milano, anziché da Milano a Roma, o viceversa, pur con lo stesso treno o con la stessa automobile. Una bella differenza, direi!
 
Col sistema deduttivo, si parte dall’astratto e si arriva al concreto, ma non senza difficoltà e col rischio di stare con i piedi alti 5 o 10 cm da terra.
Col sistema induttivo, si parte dal concreto e si arriva all’astratto, ma – anche qui - non senza difficoltà e col rischio di non arrivare a cogliere esattamente la dimensione spirituale, confondendola p.e. con la parte più alta e, se si vuole, anche nobile dell’istinto. Non vedete come alcuni scienziati si sforzano ancora oggi di trovare nel cervello il sito dell’intelligenza, mentre l’intelligenza è frutto della spiritualità dell’anima, che si serve sì del cervello, ma come strumento – non sede - delle sue attività intellettive?; non vedete quanta sempre maggior confusione si fa tra sesso e amore; tra figli e cagnolini o gattini?
Il fondo del problema dell’adolescenza è qui.
 
Ed è qui anche la sostanza di fondo del conflitto tra generazioni, costatato – ma non avvertito nelle sue cause – anche nel citato «Porta a Porta.
Ci troviamo di fronte a un modo nuovo di vedere le cose, di conoscerle quindi, e di esprimere ciò che si conosce; ma senza accorgersene.
 
C’è poi l’altro aspetto: dal ’53 a oggi sono passati circa 50 anni, cioè il tempo di almeno due generazioni.
Se noi anziani sentiamo già il disagio di intenderci con la prima generazione post ’53, oggi già adulti e avviati nella vita (si pensi anche solo alla cosiddetta «nuova critica cinematografica», che è ridotta ai valori o ai pseudovalori ideologici o al culturalismo filmico), ancor maggior disagio proviamo con i figli di quella generazione, anch’essi oggi già adulti e avviati nella vita (come si spiegano tante giovani madri che buttano il neonato in cassonetto?). Ed eccoci  a quella «nuova» adolescenza (terza generazione) di cui don Mazzi ha detto di non conoscere assolutamente nulla.
E lo credo. Pur essendo già moltissimo che egli l’abbia rilevato, anch’egli, come la quasi totalità degli attuali educatori, non s’è mai avvicinato, o anche solo soffermato, sulla metodologia della mentalità massmediale: forse non ne ha mai sentito parlare o se pure l’ha sfiorata, è passato oltre o perché richiedeva fatica lo studiarla (come ha scritto anni  fa un educatore di professione) o perché, per vari motivi non certo scientifici, è stata esclusa dalla cosiddetta cultura odierna.
Chi poi l’ha affrontata e utilmente applicata non ha avuto voce per proclamarla al di fuori del proprio ambito.
 
Con questa metodologia non si risolve tutto: ci si avvia però validamente e su base scientifica ad affrontare il problema.
 
Cosa c’entra tutto questo con una «predica»?
Sì, c’entra, perché il problema della gioventù interessa direttamente il servizio di Dio nella Chiesa; non solo, bensì il problema della mentalità massmediale interessa direttamente la pastorale odierna, come ha dichiarato già dieci anni fa, il Papa attuale all’art. 37 della «Redemptris Missio»: «L'evangeliz­zazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dall’in­flusso dei media. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio cristiano in questa “nuo­va cultura” creata dalla comu­ni­cazione mo­der­na. È un pro­blema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistino nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamen­ti psico­logici.»
E’ il Papa che parla!
 
Sempre a disposizione.
Cordialmente

 

P. Nazareno Taddei sj