Confessarsi

La confessione fra paure, vergogne e snobismo; cerchiamo di vederci chiaro.

18/04/2002
H.U. mi internetta: «A Pasqua bisogna confessarsi. Capisco che è bene ed è giusto; ma io proprio non ne ho voglia, non me la sento; però lo farò senz’altro. Ma Lei mi sa dire come si spiega tutta questa difficoltà di fronte a un Sacramento che in fondo è un regalo d’amore che Dio ci fa?»
 
Rispondo volentieri, anche perché Lei mi facilita di molto la risposta: Lei è già convinto che la confessione in sé è un Sacramento d’amore; che la Chiesa obbliga a utilizzarlo almeno una volta all’anno, cioè a Pasqua appunto, e che lo adempirà, nonostante la Sua grossa difficoltà. E ringraziamo il Signore!
Praticamente, Lei mi chiede solo di spiegare il perché di quella Sua (e di moltissimi) difficoltà di fronte all’andarsi a confessare.
 
Prima di risponderLe, pongo io un problemino.
Nella confessione è obbligatorio accusare solo i peccati gravi (mortali); ma la Chiesa impone di confessarsi almeno una volta all’anno.
Ed ecco il problemino: se uno non ha peccati mortali, è o non è obbligato a confessarsi?
La risposta è evidentemente: «sì».
Bisogna distinguere, infatti, da una parte la natura della confessione e dall’altra l’obbligo che la Chiesa impone.
La confessione è necessaria, ma non è esclusiva per i peccati mortali; anche i peccati meno gravi si possono accusare per esserne assolti. D’altro lato, la Chiesa obbliga non perché uno si liberi dai peccati mortali (infatti chi è in peccato mortale è tenuto a confessarsi al piú presto, tempo pasquale o non tempo pasquale che sia), bensì perché desidera ardentemente  che ogni cristiano compia un effettivo riabbraccio d’amore – ecco il sacramento - col Padre Celeste,  almeno nel tempo in cui si commemora il supremo atto d’amore («dare la vita») di Cristo, compiuto in croce proprio per ricongiungere a Dio l’uomo che ne aveva  in qualche modo rifiutato l’amore.
Non dimentichiamo che proprio sulla croce Cristo ha detto al ladrone che si pentiva: «Oggi sarai con me in Paradiso». Il senso dell’obbligo ecclesiastico non deve guastare il sapore di quell’abbraccio d’amore, che ci interessa personalmente e che H.U. ha ben rilevato.
 
Ed eccoci al tema proposto da H.U.: la difficoltà d’andarsi a confessare.
 
Al fondo, c’è una ragione molto semplice e molto umana: è sempre difficile riconoscersi colpevoli in qualche cosa. Anche quando dobbiamo ammettere che qualche nostra azione non è andata come doveva andare,  come si fa a dire che abbiamo sbagliato? Quante volte diciamo o sentiamo dire: «Sbagliato… sì; in un certo senso; ma di per sé io intendevo questo e quello; quindi non è proprio che io ho sbagliato.»  Orbene, la confessione è proprio impostata sul fatto che noi si riconosca d’aver sbagliato, tanto piú nei confronti del Creatore, che… è molto lontano….
Un vecchio detto insegnava che il sacco degli errori altrui, noi ce l’abbiamo davanti; ma quello dei nostri errori ce l’abbiamo dietro e non lo vediamo. Quant’è saggio e vero questo detto! Ed è per questo che tutti gli altri riconoscono i nostri difetti e i nostri errori; ma noi non li vediamo e stentiamo a crederlo quando qualcuno ce lo fa notare. Diciamo pure la verità: sotto questo profilo o in questo ambito, siamo, tutti proprio stupidi; e anche l’intelligenza non ci aiuta molto.
Ma c’è da aggiungere che la mentalità massmediale ha notevolmente aggravato questa difficoltà; sotto il profilo psicologico. Infatti, una delle principali caratteristiche della mentalità massmediale è proprio quella di esasperare la nostra soggettività, tanto da farla diventare soggettivismo. Si pensi anche solo, p.e., che una delle norme hollywodiane per la confezione dei film è che dopo i primi cinque minuti lo spettatore deve sentirsi immedesimato col protagonista, il quale, nonostante tutto, sopravivrà sempre e alla fine vincerà. L’industria lo fa per cassetta, ma sfrutta un aspetto profondamente psicologico, che però in questo modo lo ha esasperato.
 
Si tratta di un aspetto psicologico, il quale non è altro che una conseguenza del peccato originale: «sarete come Dio», aveva detto il Tentatore.
Quindi è ovvio che, poco o tanto, in questa faccenda della difficoltà a confessarsi abbia buona parte anche «l’antico avversario, il quale, come leone ruggente, circuisce tutti, cercando chi divorare», come dice la Lettera di S. Pietro. La confessione, infatti, ci sottrae all’impero del diavolo e ci rimette nelle braccia di Dio. E volete che il diavolo non sia interessato?
 
«Ma che peccati vuole che faccia? Cosa mai devo andare a dire?»
Può anche essere vero; ma può anche essere il vero peccato: un peccato di altissima presunzione.
Nell’una o nell’altra ipotesi, diciamo umilmente al sacerdote: «Mi accuso di come mi trovo colpevole dinanzi a Dio e chiedo perdono di tutte le mie colpe, anche di quelle che o non conosco o non ricordo.»
Se tutto questo è sincero è un vero atto d’amore verso quel Dio di cui desideriamo l’abbraccio.
Dico: se è sincero. Infatti, dovrebbe essere piú che sufficiente (desiderio di quell’abbraccio) per farci superare la naturale difficoltà.
Se non è sincero, possiamo ingannare il sacerdote e noi stessi; ma non possiamo ingannare il nostro Padre Dio e nemmeno, diciamo pure, il nostro antico avversario: l’Uno e l’altro vedono il nostro intimo. Può darsi che lì ci sia un pizzico d’amore e di vero desiderio. Quel pizzico stuzzicherà l’avversario a ingigantire la difficoltà; ma può anche darsi che basti al Signore per abbracciarci… da lontano.
 
Sempre a disposizione. Cordialmente

 

P. Nazareno Taddei sj