Un grosso problema

Pedofilia fra I preti: un problema di scottante attualità; e i Capi come si comportano e come invece dovrebbero...

11/08/2002
Il sig. C.S. mi propone un grosso problema, che merita l’attenzione di una «predica».
Egli mi aveva  già proposto un problema, al quale avevo risposto privatamente sulla necessità di distinguere tra Chiesa e uomini della Chiesa.                   
Ora mi sussume, partendo dal ricordo dei dittatori del secolo scorso, col concetto che «Le organizzazioni hanno un Capo, che le rappresenta, e ne é responsabile, e che per nessuna ragione deve distinguersi da quello che l'organizzazione dice o fa, avendo sempre l'alternativa delle dimissioni in caso di pedofilia tra gli uomini di Chiesa.»
Il problema infatti – continua - è che «Si sono avuti quasi trent'anni per reagire al fenomeno [pedofilia tra i preti] che era ben conosciuto da chi di dovere; non è successo, e in questo caso non si può accettare il meglio tardi che mai, specie se si considera che il fenomeno patologico è forse conseguenza diretta della sessuofobia applicata al Clero: menzogna nell'interesse di gruppo.»
E conclude: «Credo fermamente che Teologia e Morale siano cose ben distinte, e che si possa dubitare che Dio sia uno e trino, o addirittura che esista, ed essere contemporaneamente persone perbene. Quindi non discuto il Magistero teologico della Chiesa, ne discuto il Magistero morale. E sono convinto che sia proprio la mancanza di una sua voce forte e chiara sulle questioni morali che toccano da vicino la Società moderna ad aver allontanato da essa molti, i più, sopratutto i giovani; e che, per quel che ci é stato tramandato dal Vangelo, Cristo non avrebbe dubbi oggi su cosa dire, né da che parte stare.»
 
Rispondo volentieri, pur rendendomi conto delle difficoltà d’una risposta a un discorso piuttosto complesso. Devo però premettere che il messaggio di C.S. mi è giunto prima dei piuttosto recenti interventi inequivocabili del Papa sui sacerdoti pedofili. Tuttavia,  il discorso regge.
 
Dico subito: ho l’impressione che C.S. vada un pochino troppo in là nel non accettare la distinzione tra «Chiesa e uomini della Chiesa», soprattutto appoggiandosi al ricordo di quel che si diceva di «Mussolini (o il Re o Stalin) è un Grand’uomo, ma è mal consigliato.» Non si può infatti paragonare un regime totalitario (o accettato come tale da un legittimo monarca parlamentare) con la Chiesa, la quale come potere temporale è certamente monarchia assoluta, ma altrettanto certamente non è né totalitarismo, né – soprattutto - solo potere temporale.
Il Papa non è un dittatore che parla per conto suo, mascherandosi magari dietro il nome del popolo. Egli parla e agisce, e non si maschera, in nome di Cristo.
Il Papa, come Vicario di Cristo, è infallibile «in materia di fede e di morale»; ma solo quando parla «ex cathedra» (cioè impegnando solennemente tutta la sua autorità di Vicario di Cristo). La sua infallibilità è tale da implicare istituzionalmente l’organizzazione che presiede e governa (la Chiesa), ma che governa, appunto, come Vicario di Cristo e non in nome proprio. Per difettti o anche per peccati personali di membri della Chiesa non si può certo responsabilizzare il Papa, il quale – anch’egli, come singola persona privata – può avere difetti o commettere errori o addirittura peccati, senza implicare il corpo della Chiesa.
Lo dimostra, tra l’altro, tutta la storia della Chiesa, non nascondendo gli errori commessi dai suoi Uomini, anche se Papi. Perfino Alessandro VI, di vita non certo esemplare, non ha «definito» (parola per indicare l’affermazione «ex cathedra») alcunché.
 
Chi dice, allora, che il Papa deve dimettersi se qualcuno tra i suoi preti è purtroppo pedofilo? Dove sta scritto? E’ ovvio, piuttosto, che, salve le esigenze «della verità, della giustizia e della carità, nella libertà», egli prenda o faccia prendere i provvedimenti per impedire il malfatto ed eventualmente far cessare lo scandalo.
Che se lo scandalo è stato amplificato e distorto, provocato – piú o meno ad arte – dai media, è certamente necessario intervenire pubblicamente, sempre salva «verità,  giustizia e carità»: è quello che mi pare sia stato fatto e, direi, certamente senza eccessiva tolleranza. Il fenomeno infatti è ben piú complesso di quanto non appaia a chi ne è ignaro; e non credo si possa parlare di ipocrisia, se si è cercato di evitare una ingiusta pubblicizzazione (che non significa ap­provare o sostenere). Il peccatore infatti conserva il diritto alla sua, pur lesa, dignità.
 
Ma anche posto e non concesso che fosse tutto esatto storicamente, teologicamente e moralmente quello che C.S. afferma della Chiesa e del fenomeno, non mi pare che un’eventuale mancanza di intervento per il comportamento di qualche rappresentante,  giustifichi la negazione della Teologia Morale, che è qualcosa di ben piú vasto e profondo d’un qualche comportamento erroneo, ivi compreso quello eventuale della mancata denuncia: comportamenti che la Teologia Morale, anzi, preci­samente denuncia e condanna. La Teologia Morale infatti è quella branca della Teologia (scienza di Dio) che studia la legge di Dio in rapporto ai comportamenti , ai quali l’uomo è tenuto a esercitare o a rifuggire.
E nemmeno, mi pare, si possa dire che in tutti questi anni sia «mancata una sua [della Chiesa] voce forte e chiara sulle questioni morali che toccano da vicino la Società moderna»; anzi una oggi frequente lamentela (non so tuttavia quanto giustificata) in Italia e all’estero è proprio quella di troppo insistiti interventi in campo sessuale.
 
Tuttavia, il sig. C.S. ha qualche ragione (però fino a un certo punto: i parametri possono essere ben diversi) nell’affermare che «il fenomeno patologico è forse conseguenza diretta della sessuofobia applicata al Clero». Ma mi guarderei bene dal generalizzare tutto questo come «menzogna nell'interesse di gruppo».
Così pure è vero che «Parlar chiaro costa, ma a qualcuno riesce»; e non so quanto valga il riferimento a Ignazio Silone che C.S. porta (questo però per mia specifica ignoranza). Esempi di rettitudine, infatti, si trovano a iosa anche all’interno della Chiesa e, direi, spesso eroici, anche contro certi difetti di uomini di Chiesa.
Chiarirei, poi, con molti «distinguo», «che si possa dubitare che Dio sia uno e trino, o addirittura che esista, ed essere contemporaneamente persone perbene. Quindi non discuto il Magistero teologico della Chiesa, ne discuto il Magistero morale.» Tutto infatti sta vedere cosa significa quel «persone perbene» e quel « dubitare che Dio sia uno e trino, o addirittura che esista».
Non vedo poi come si possa «non discutere il Magistero teologico e discutere quello morale», dal momento che «non discutendo» significa, come minimo, non entrare in discussione su singoli contenuti, ma di fatto significa accettare quel Magistero nella sua realtà, come concretamente esistente. A meno che – ma non penso sia proprio il caso – non si parta dal concetto che il Dio della Chiesa non esiste e quindi casca tutto: e quindi comandiamo noi, anzi ciascuno di noi; che caos! Non ci va il prete pedofilo (anche senza stare troppo a vedere com’è la faccenda)? e allora o via il Papa o che il Papa faccia quello vogliamo noi, giusto o sbagliato: Dio non esiste, Dio sono io!
 
Ma il messaggio di C.S. fa pensare e lo ringrazio d’avermi  offerto l’occasione di trattarne. Infatti, accanto all’aspetto oggettivo e logico del problema, c’è quello soggettivo e psicologico di mentalità di chi, a torto o a ragione, colpevolmente o incolpevolmente, stenta a riconoscersi come creatura o comunque ad ammettere un certo profilo dell’aspetto religioso della vita.
 
 
P. Nazareno Taddei sj