Pasqua in TV, 6 mesi di vita

Viene la depressione a vedere il modo con cui viene presentata la Pasqua in TV; proviamo qualcosa di diverso...

15/04/2004
L'amico F. S. mi internetta: «Nessuna predica, nemmeno a Pasqua?»
Rispondo: ha ragione e mi scuso con tutti. Qualcuno m'ha scritto e risponderò.
Ma oggi, 15 aprile, ore 15,30, per caso, ho visto un pezzo della trasmissione diretta da   Cucuzza «La vita in diretta. Un giorno speciale», circa un certo Alessandro, gay, lasciato dal. fidanzato alla notizia del responso del medico alla malattia di Alessandro: «6 mesi di vita!»
La trasmissione mostrava, in trasparenza televisiva attraverso un velo, lo stesso Alessandro che diceva la sua e, in diretta, vari personaggi: un oncologo, uno psicologo, una Rosaria in rappresentanza di una commissione ministeriale addetta ai lavori, e due attrici. Un grande bla bla bla, non privo di sincera (?) comprensione per il caso, ma abbarbicato sulla speranza, più o meno giustificata, che quel responso potesse non essere definitivo, di fronte a un Alessandro che chiedeva solo cosa doveva fare per riempire utilmente quei sei mesi che gli restavano e gli sembrava che nessuna risposta fosse valida.
E infatti, a mio avviso, nessuna parola, ma nemmeno l'impostazione del problema poteva essere valida, perché troppo lontana dalla verità del reale: il mistero della vita e della morte.
Lo stesso Alessandro, forse ispirato dalla saggezza che gli veniva dalla coscienza del gran evento che l'attendeva, la scomparsa da questa vita terrena, si legava a quest'ultima: «Penso a cose banali che mi verranno a mancare come un tramonto o il sorriso di un bambino.!» Già! come se in Cielo non ci fosse questo e ben altro!
Ma possibile che a nessuno venisse in mente quello che, non solo un cristiano sa, bensì sa anche un ebreo o un musulmano, oppure un buddista o uno qualunque di quei mondi di religioni fantastiche, anche per basi scientifiche, e che almeno la nostra religione ci insegna fin da bambini; cioè che dopo questa vita, ce n'è un'altra, eterna, che sarà o infinitamente beata o infinitamente dannata a seconda che, in forza di come avremo creduto per fede e ci saremo comportati, passeremo a una eternità con Dio o a una eternità senza Dio!
E il nocciolo di questa fede è che questa vita terrena, ch'è «una valle di lacrime, dove però (come scherza il mio amico salesiano don Neffari, ottimo barzellettista) si piange tanto volentieri», è «un passaggio» e «non una stabile dimora».
Questa è l'unica risposta possibile e realisticamente efficace all'ansia - e forse angoscia - di Alessandro di come coprire questi mesi di attesa: offrire a Dio questa (proprio perché angosciosa) attesa, affinché Egli la utilizzi o spiritualmente o psicologicamente o anche materialmente con chi ne ha bisogno. E chi sa quanti sono? Certamente migliaia se non milioni. E Dio lo sa.
Così Alessandro sentirà di non essere solo, anzi di essere unito a Dio (e non è poco, trattandosi dell'Infinito e del Creatore) e a tutti quelli che con Dio egli beneficherà. Così il discorso, praticamente piuttosto macabro, oltre che quasi insulso e vuoto, e quindi diseducativo, di quella trasmissione, pur con un ottimo argomento, avrebbe spaziato in spazi ben più luminosi e utili anche per quei telespettatori che, come me, si sono disgustati oltre che annoiati.
E per chi non crede in Dio o nella Provvidenza? Ahimé! cosa dire?
È colpa loro o non è colpa loro? Noi possiamo solo pregare la misericordia di Dio per loro, affinché la nostra Pasqua si estenda anche fino a essi, che non sappiamo chi siano né li conosciamo; ma sono nostri fratelli in Dio, che invece li conosce e li può abbracciare nel suo infinito potere e amore di Risorto.
 
Sempre a disposizione, cordialmente

 

P. Nazareno Taddei sj