La pesca miracolosa - di P. Giuseppe Pirola sj

Il Miracolo come Segno nel Vangelo di Luca (5,1-11)

11/02/2007
Il passo evangelico racconta il miracolo della pesca miracolosa. Gesù sta predicando lungo le rive del lago di Genesareth alle folle; dei pescatori giungono a riva dopo avere faticato una notte senza prendere un pesce. Gesù sale in barca con loro e li invita a gettare le reti; i pescatori, nonostante il loro scoraggiamento, accondiscendono. E prendono una gran quantità di pesci. Questa è la prima parte del racconto. Ma che succede dopo la pesca miracolosa?
Il brano continua raccontando cose di ben altro genere. Simon Pietro si getta ai piedi di Gesù ed esclama incredibilmente: “Allontananti da me Signore perché sono uomo peccatore”. Un invito a Gesù ad allontanarsi, andare via da lui? L’esclamazione è attribuita a uno stato di stupore e di ammirazione che aveva colto Simon Pietro e i suoi due soci di pesca, Giovanni e Giacomo. All’esclamazione di Simon Pietro Gesù fa seguire invece un invito a seguirlo e una promessa: “Non temete. Vi farò pescatori di uomini”. Conclusione: i tre pescatori abbandonano il loro lavoro di pescatori, e, cambiando radicalmente vita, si mettono al seguito di Gesù. 
Non è facile capire il filo del discorso, perché il racconto mette insieme cose almeno a prima vista disparate. E cioè: una pesca prima sfortunata e fallimentare, che diventa una pesca prodigiosamente abbondante, in forza di una parola di Gesù accolta con riluttanza e quasi per condiscendenza, da parte di pescatori stanchi. Poi il centro della narrazione si sposta e viene occupato da Gesù stesso: chi è Gesù? Simon Pietro è preso dall’ammirazione per Gesù; e la esprime in una frase che dice la radicale differenza tra sè e Gesù, evidenziata dal miracolo, tra la sua condizione di uomo peccatore e Gesù che è all’estremo opposto di questa condizione peccatrice. Gesù risponde invitando Simon Pietro e i suoi compagni a non temere, a non vivere questa differenza radicale tra loro e Gesù come fonte di un timore paralizzante; e dice loro qual’è il loro futuro, che ha a che fare non più con il mestiere di pescatori, ma con una misteriosa missione che riguarda la vita degli uomini. Il dialogo si conclude con una decisione repentina quanto estrema presa dai tre pescatori.
Proviamo a cercare il filo del discorso. Vediamo che Gesù fa un miracolo, che trasforma un insuccesso del mestiere di pescatori (che ha a che fare con i bisogni e le necessità della vita di pescatori), in un successo improvviso e ormai insperato. Ma il miracolo distrae Simon Pietro dalla pesca. Pochi o tanti, i pesci non gli interessano più. La sua ammirazione non è suscitata dalla gran quantità di pesci pescati; la sua ammirazione è suscitata dalla persona di Gesù, per cui la sua attenzione si sposta dai pesci alla persona di Gesù, che con una parola ha fatto il miracolo. L’esclamazione include una domanda piena di ammirazione e stupore: chi è Gesù? Chi è Gesù che mi sta davanti e chi sono io, Simon Pietro, che sto alla sua presenza? Simon Pietro scopre la differenza radicale, la distanza incommensurabile, tra la sua condizione umana di uomo peccatore, e quella tutt’altro che peccatrice di Gesù, il santo di Dio. Ed è proprio Dio, la presenza di Dio in Gesù che gli incute timore. Gesù toglie di mezzo il timore e affida a quei pescatori una missione, chiamandoli a seguirlo cioè a condividere la sua missione. Ed essi lo seguono decisamente.
Ed ecco il filo del discorso: che cosa è il miracolo? Il miracolo, qualunque sia l’oggetto del miracolo, la pesca, la guarigione di malati, la moltiplicazione dei pani ecc. è un fatto che sposta l’attenzione dal fatto al senso del miracolo; esso suscita nei presenti un’ammirazione che riguarda la persona di chi ha compiuto il miracolo e solleva una domanda: chi è allora Gesù? Che senso hanno i miracoli che fa?
Siamo in grado di rispondere: il miracolo allora è un fatto che è segno o significa chi è Gesù e che cosa è venuto a fare in questo mondo. Ma il miracolo è segno in una modalità precisa: la modalità di segno attraverso l’ammirazione e la domanda che suscita sull’identità di Gesù e sul senso della sua opera: Gesù è o no il Messia, il Cristo? La sua opera è o non è l’inaugurazione del regno di Dio, (un regno non politico), l’inizio del processo di liberazione degli uomini dalla loro condizione peccatrice, dal peccato inferto o subito ingiustamente, dalla malattia che conduce a morte e dalla morte, non come fatto, ma come fine della vita umana nel nulla o dalla definitività della morte? Il senso ultimo del miracolo di Gesù è quello di rivelare con la sua presenza e opera agli uomini chi è Dio, Dio che è Padre e ha inviato Gesù nel mondo in segno di amore per gli uomini, perché ama la loro liberazione dalla condizione peccatrice, dagli aspetti tragici dell’esistenza umana. Un Dio di misericordia e non un Dio giudice del quale si deve avere timore. Un Dio che chiama non solo tre pescatori, ma tutti gli uomini a prendere una decisione, la decisione radicale di partecipare al suo processo di liberazione degli uomini, che culminerà con l’avvento glorioso del regno, l’evento della compiuta liberazione dell’uomo. La parola di Gesù, “non temete” seguite dall’affidamento di una missione precisa, ricorre nella Bibbia, da Mosè chiamato da Dio a presentarsi al Faraone, senza paura, forte della missione che Dio gli affida, a chiedere la liberazione dalla schiavitù in Egitto del suo popolo; da Giosuè, dai profeti, fino a Maria nel racconto dell’Annunciazione in cui Maria è invitata a non temere di fronte a Dio e ad accogliere liberamente la missione chui Dio la chiama di essere la madre di Dio.  
Che cosa sono allora i miracoli? Perché Gesù fa miracoli? Dobbiamo liberarci la testa da chiacchiere moderne sui miracoli. Essi non vanno confusi con racconti di fatti straordinari, che suscitano l’ammirazione per la loro straordinarieta, perché sono rari e scientificamente inspiegabili; l’errore di queste interpretazioni del miracolo sta nel non spostare l’attenzione dal fatto cui il miracolo invita, di chiudersi sul fatto, su che cosa è capitata, e non chiedersi quale sia il senso di un fatto che è un segno e appartiene al mondo dei segni. Considerano perciò il miracolo come un fatto e Gesù come fosse un guaritore che senza diagnosi, senza terapia, con una parolina magica, e senza farsi neanche pagare, guarisce inspiegabilmente un malato. Perdendo il significato del miracolo, non capiscono più la domanda sottesa al miracolo: Gesù è sì o no il messia, l’inviato da Dio a fare segni che significano che Dio ama tutti gli uomini, e li chiama alla collaborazione al venire del regno di Dio? Concludo con una battuta di Tommaso d’Aquino che contraddice con ancor più forza quanto i moderni dicono sul miracolo. Il miracolo suscita la domanda sull’identità di Gesù e da inizio al passaggio dalla non fede alla fede in Gesù, alla fede che Gesù è il Cristo. Ma non conduce da solo alla fede. Dice Tommaso: il miracolo non è necessario né sufficiente a produrre la fede. E da la prova: molti giudei videro i miracoli di Gesù e non credettero che fosse il Cristo; molti videro i miracoli di Gesù e credettero. Chi dice: non credo se non vedo miracoli, ripete l’errore dei giudei. Il miracolo non è la prova della verità della nostra santa fede in Gesù il Cristo; è solo il segno che apre un processo che conduce dal non credere al credere in Gesù il Cristo, un processo che si conclude necessariamente con una libera decisione e la scelta di un nuovo stato di vita, una vita missionaria. Un processo che oggi si apre con l’ascolto della parola di Dio che troviamo nel Vangelo e nel seguire le spinte interiori alla fede dello Spirito Santo. (P. Giuseppe Pirola sj)