I silenzi di Cristo - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

La folla urlante è ancora capace di guarire, di annunciare?

04/08/2007
Ancora il tema degli Atti degli Apostoli che ci ha impegnato in preparazione al grande evento della Pentecoste.
Conosciamo i protagonisti: da Luca a Pietro, Paolo, Giovanni, Stefano e chissà quanti altri che ci insegnano, anche a distanza di secoli, come muoverci nel quotidiano, come viverlo nella sua pesantezza, come alleggerirlo col tocco cristiano.
 
Certamente la presenza di questi protagonisti del primitivo Cristianesimo non è da inquisitori, tanto meno da battitori che urlano e cantano per farsi notare.
Si muovono, questi tipi inviati da Gesù ad annunciare il Vangelo, col tocco del pastore il quale sta attento che il suo gregge non finisca nelle fauci del lupo.
Li vedo camminare dietro a Luca, il maestro che li sorveglia e che poi li deve consegnare alla storia affinché il loro andare, fare, dire diventi dottrina del Cristo.
Lui, il figlio di Dio e nello stesso tempo figlio dell’uomo, il Gesù di Nazaret, avvezzo a stare ad occhi bassi per non ferirsi nel battere il ferro nell’incudine o nel piallare il legno o nel rimettere la ruota al carro dopo averla riassettata.
Poi, quando esce dalla bottega e va per strada o frequenta la Sinagoga di sabato e incontra gente, è avvezzo a guardarla negli occhi per conoscere se gioia o dolore, se rabbia o contento nasconde nell’anima.
Magari, in seguito, siederà con loro nei prati attorno al tempio o li porterà in montagna e parlerà del Padre e delle sue meraviglie.
 
Ricordate l’incontro con la Samaritana, straniera, nemica, cinque mariti e il sesto non era suo marito.
Non è difficile per chi legge attentamente il passo del vangelo di Giovanni 4,24 capire il volto, gli occhi, le mani di quella donna nel momento in cui Gesù le dice: «Dammi da bere». E lei «Come mai tu, giudeo, chiedi a me da bere che sono samaritana e quindi tua nemica?»
Penso che Gesù sorrida, che eluda la domanda con un lieve sottovoce: «Se tu sapessi chi è colui che ti dice “Dammi da bere” tu stessa gliene avresti chiesto».
Gesù, ora, non presenta la maestà della sua persona, costringe la donna a guardarlo negli occhi perché riesca a capire quel enigmatico «Se tu sapessi».
E difatti, dopo pochi secondi, lei intuisce e, con un balzo dell’anima, è lei che domanda: «Dammi quest’acqua perché non abbia più sete».
Poi abbandona anche la brocca e corre in città: «Venite, venite, forse ho incontrato il Messia».
 
E la donna che soffriva di emoraggia da dodici anni ? (Mc. 5,25)
«Gli si accosta alle spalle». Gesù se ne accorge, sa chi è e che cosa l’affligge, non avverte fastidio, non si allontana da buon ebreo ricordando la legge del libro del Levitico che definiva la donna in quelle condizioni «immonda» e che quindi non doveva avvicinarsi.
La scena è avvolta in un silenzio impressionante, ma si respira una sensazione volatile di leggerezza acquietante; un che di solenne avvolge la donna e il Cristo, rotto improvvisamente da un grido di esultaziona di lei che il testo non esprime. Solo un semplicissimo commento: «La donna sentì nel suo corpo che era stata guarita».
Forse quella stessa sera Gesù andò a casa di Lazzaro, di Marta e Maria per riposare, come faceva altre volte dopo l’immersione nel pesante quotidiano, per respirare un’atmosfera familiare e rinvigorire corpo ed anima per il domani, dove avrebbe incontrato ancora la sofferenza ed anche la cattiveria ostile e superba.
 
Leggendo attentamente gli Atti degli Apostoli, si nota che i protagonisti hanno imitato i momenti della vita di Gesù, perché si muovono con la stessa delicatezza spesso silenziosa, ma salvifica del maestro.
Oggi, che ne è dei silenzi del Cristo?
La piazza chiassosa e urlante è proprio capace di annunciare e guarire?