I dieci lebbrosi - di P. Giuseppe Pirola sj

Qual è il senso di un miracolo?

13/10/2007
Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, cioè verso la sua passione e morte. Per strada, ai confini tra la Samaria e la Galilea, all’entrata di un villaggio, gli si fanno incontro dieci lebbrosi, che osservando la legge ebraica si tengono a debita distanza e, per far sentire la loro invocazione, alzano la voce e dicono: Gesù, Maestro, abbi pietà di noi; fanno cioè appello alla sua compassione per la loro sofferenza. Gesù risponde in un modo strano; dice loro infatti: «andate e mostratevi ai sacerdoti». I lebbrosi, una volta guariti dovevano infatti, in base alla legge ebraica, mostrarsi ai sacerdoti per l’accertamento della loro guarigione. Gesù, con quell’ordine, li tratta cioè come se li avesse già guariti. Ma invece è durante il viaggio, come prosegue il racconto, che essi guariscono e constatano da se stessi di essere guariti dalla lebbra.
A quel punto uno si stacca dal gruppo e invece di proseguire verso i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, torna indietro da Gesù lodando a gran voce Dio, poi si prostra, faccia a terra, davanti a Gesù, e lo ringrazia. Gesù resta sorpreso che uno solo sia tornato indietro a lodare Dio e a ringraziarlo prostrandosi a terra con un gesto e gli rivolge una domanda: non erano dieci i guariti? Gli altri dove sono? «Non si è trovato che questo straniero per tornare a rendere gloria a Dio? Alzati, la tua fede ti ha salvato».

Togliamo subito di mezzo una lettura sbagliata del racconto, e in particolare del senso della sorpresa e della domanda del Signore al lebbroso guarito. Gesù è sorpreso non perché solo uno gli è stato riconoscente, e gli altri nove no. Interpretare così il racconto significa ridurre Gesù alla nostre dimensioni, cioè alle nostre aspettative psicologiche, al nostro modo di essere, umano troppo umano. Noi quando facciamo un dono a chi ha bisogno o è nella sofferenza, ci aspettiamo un po’ di riconoscenza, e ci sembra anche di averne diritto. Gesù invece è sorpreso che uno solo sia tornato a lodare Dio, a celebrare Dio per la guarigione miracolosa, e, come consta dal gesto di prostrazione, abbia riconosciuto con un atto di fede salvifica la sua identità messianica di liberatore misericordioso degli uomini dal peccato e da ogni male o sofferenza. Questa è la prima differenza che Gesù sottolinea, chiarendo il senso della sua sorpresa: attraverso il miracolo-segno giungere ad un atto di lode di Dio e di fede in Gesù, il Messia, il Cristo. Ma Gesù sottolinea una sua seconda differenza che lo sorprende: l’unico che è tornato indietro non è un ebreo, ma un samaritano. I samaritani sono quelli che, come dice la donna samaritana peccatrice a Gesù, riconoscono come luogo unico della presenza di Dio il Tempio del monte Garizim e non il Tempio di Gerusalemme; quindi non sono ebrei osservanti ed erano perciò disprezzati da questi ultimi. Ricordiamo anche la parabola del buon samaritano che si prende cura di un ferito che trova disteso per terra in strada in cui si imbatte per caso e se ne prende cura, a differenza del sacerdote e del levita ebraico che erano passati oltre.

Qual è allora il senso del racconto? Il miracolo sottolinea non l’aspetto clinico della loro malattia, la diagnosi da fare, la terapia da prescrivere e seguire. Questa è solo una delle facce della malattia. Vi è un’altra faccia. I lebbrosi, sofferenti di una malattia allora incurabile, che segregava dalla società e confinava ai bordi del deserto o di una strada fuori traffico, vivono lo scandalo del male nella loro pelle, che mette cioè a dura prova la fede in un Dio di cui si dice che ama gli uomini, ma ad essi risulta lontano e assente, quasi li avesse anch’egli abbandonati al loro destino tragico. Perciò sono tentati di non credere più in Dio. Nel racconto evangelico essi si rivolgono a Gesù, vincendo la tentazione e ci insegnano una splendida preghiera: la preghiera che è un grido a voce alta, un gridare a Gesù la loro sofferenza disperata e la loro ultima speranza, quasi l’ultima esplosione di fiducia in lui, nel silenzio e abbandono al destino di morte che li circondava e potrebbe richiudersi nuovamente su di loro.

Il Signore accoglie la loro preghiera; ma Gesù non compie istantaneamente il miracolo, come in altri casi; il miracolo avviene passo dopo passo, mentre essi obbediscono all’ordine di andare a mostrarsi ai sacerdoti: Gesù dona loro il tempo di comprendere quanto avviene, come avviene, e che cosa è un miracolo. Esso comincia dall’ascolto fiducioso della parola del Signore e dal fare quanto dice, eseguendo un ordine del Signore, che non è una guarigione immediata ma dilazionata, e differita, non più di una promessa di guarigione. Ma la guarigione avviene in viaggio, il viaggio tra promessa divina e speranza dei lebbrosi, che avvia e compie la guarigione. A questo punto, nove se ne vanno e scompaiono dalla scena; uno solo torna indietro.

Uno solo cioè ha capito il senso del miracolo che Gesù ha compiuto. Il miracolo rivela al lebbroso, che è tentato di non credere più in Dio, chi è Dio, il Padre che ama gli uomini, e chi è Gesù, il Messia, il Cristo, inviato dal Padre a liberare gli uomini dal peccato e dalla sofferenza che conduce inesorabilmente a morte. Ed è il segno attraverso il quale Dio chiama il lebbroso alla fede in Cristo e nella paternità di Dio, cioè alla vittoria sulla tentazione di non credere a causa dello scandalo della malattia.

Adesso ci è chiara la doppia meraviglia e sorpresa di Gesù: dieci sono stati guariti e uno solo è giunto alla fede nel Padre mio e in me, il Cristo inviato del Padre a rivelare la sua paternità verso gli uomini peccatori e/o sofferenti senza speranza? E quest’uno non era neppure ebreo ma un samaritano, cioè, per gli ebrei, un peccatore? Il Signore, dopo avere espresso la sua sorpresa, tace degli altri nove; elogia invece il samaritano che ha ritrovato la fede in Dio e in Cristo, la fede che ricongiunge a Dio e salva dal rimanere vittima della tentazione. Gesù dà risalto solo chi ascolta e comprende il suo gesto e il miracolo. Altrove dice: "non ho trovato tanta fede in Israele". (P. GIUSEPPE PIROLA SJ)