Ancora sul tema della preghiera - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

La domanda per gli altri: un segno dell'Amore

05/10/2008
Continuo il tema della mia predica «Riflessioni sotto il sole» del 30 agosto scorso: LA PREGHIERA
 
È frequente nella Bibbia il ricorso alla preghiera, distintivo particolare della persona che cerca di superare il proprio «io», avvolto spesso da egoismo per unirsi all’altro, chiunque sia, come un libro da leggere per imparare e specialmente per aiutarlo se si trova in difficoltà.
 
Nel Vangelo di Matteo (5,42), dopo il Discorso della Montagna, che si può definire non solo la «Magna Carta» del Cristianesimo, ma anche della società civile, perentorio è l’avvertimento di Gesù, un imperativo che ti suona addosso come il tocco di una campana: «Da’ a chi ti domanda, e, a chi desidera da te un prestito, non volgere le spalle».
Più avanti un invito sottovoce, per nascondere il disagio di chi si trova improvvisamente in difficoltà: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, a chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto».
Non manca il rimprovero, piuttosto forte: «Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono».
Alla fine la conclusione in tono legale: «Qui c’è tutta la legge e i profeti».
Cioè il compendio di tutta la rivelazione biblica sta nella concretezza di un aiuto vicendevole concreto.
 
Tutto ciò per stabilire che il vocabolo «AMORE», che traduce il greco «AGAPE», non è tanto un sentimento, quanto invece una concretezza di vita sociale che pretende che tutti possano avere un pane e un tetto.
Inoltre, chiunque, cristiano o no, secondo il Vangelo, se casca deve essere rialzato, se è tormentato da vicende scabrose deve essere concretamente aiutato per poter riprendere la fiducia e speranza.
Mai domandare soltanto per sé; è una regola biblica, è una intuizione che ognuno di noi sente nella propria coscienza.
È regola fondamentale per qualunque soggetto politico che intenda formare un popolo che cammini sicuro nel tempo.
 
Il Vangelo insiste per un insieme fraterno, perché in quel tempo era in auge il pensiero politico dettato dai due grandi filosofi Platone ed Aristotele che vedevano una società divisa tra gli «aristoi»: quelli delle classi elevate per cultura e per i beni che possedevano, e i «Kakoi»: i malnati, i disgraziati, i cattivi, la plebe.
In definitiva possiamo vedere specialmente in Aristotele una meravigliosa filosofia in tanti punti, ma anche una deludente dottrina dell’insieme.
Penso che il Vangelo insista molto sul concetto di «AGAPE-AMORE» non come sentimento, ma come concretezza, affinché nessuno abbia fame, nessun ferito sia abbandonato per strada (mentre un sacerdote ed un levita, come racconta Luca nella parabola, erano intenti nella preghiera, forse). Penso che Luca veda quei due come tipo di una indifferenza e di un cinismo che in quel tempo serpeggiava tra gli alti ceti della politica e della religione.
 
Il cristiano, anche nella preghiera, non deve domandare solo per sé.
Nella preghiera del «Padre Nostro» Gesù insegna che se ci manca il pane, comunque inteso, non bisogna dire «dammi», ma «dacci» perché in quel momento in cui avverti che hai bisogno di calmare la fame di qualcosa che ti urge nella giornata, devi subito ricordare che chissà quanti in quel medesimo istante hanno bisogno di un pane o di una parola o di un conforto per non cadere in rovina.
 
Coloro che soffrono e si annientano non li devi vedere solo alla tv o nel giornale, li devi avvertire nell’anima. (Mons. Giovanni Battista Chiaradia)