Il Buon Pastore - di P. Giuseppe Pirola sj

Il pane di vita che libera dalla sofferenza comune e distruttiva, e i segni che ridanno vita

18/07/2009
Le poche righe del vangelo di oggi introducono al racconto della prima moltiplicazione dei pani, che però viene omesso nella lettura. Quanto si legge è la conclusione del racconto dell’invio in missione entro il paese di Israele degli apostoli da parte di Gesù, che li associa così alla sua missione di messia dì Israele, mentre è ancora presente tra loro, e prelude a quella missione universale che gli apostoli dovranno compiere dopo la Pentecoste, sotto la guida dello Spirito Santo. La missione aveva il senso di un primo esperimento di quanto gli apostoli avrebbero poi fatto, a partire da Gerusalemme sino agli estremi confini della terra. Essa consisteva nella diffusione della lieta novella della venuta del Regno messianico di Dio in Cristo Gesù, già annunciata da Cristo stesso, per la conversione degli ebrei, accompagnata da segni messianici, come la guarigione dei malati e la liberazione degli ossessi dal dominio del diavolo, gli stessi segni con cui Gesù stesso dava testimonianza di essere il Messia.
Gli apostoli tornano e si riuniscono attorno a Gesù per raccontargli come era andata la missione, cioè quel che avevano fatto e insegnato, cioè i segni messianici che avevano accompagnato l’annuncio del Regno. Essi sono pieni di entusiasmo. Gesù li invita a seguirli in un luogo lontano dalla folla per riposarsi un po’. Così gli apostoli cominciamo a capire che senso abbia la missione evangelica di Cristo e quella futura della Chiesa. L’esercizio della missione comincia dall’invio di Gesù stesso che li rende partecipi della sua stessa missione, e non può che terminare ai piedi di Gesù. Perché? Perché la missione è costitutiva della Chiesa che è quindi una comunità missionaria, che continua la missione di Gesù Cristo stesso. Riposatevi, non è un invito a tirare il fiato: ma a quel colloquio e confronto con Gesù per ringraziare e benedire il Padre per il buon esito della missione o per non scoraggiarsi di fronte a ostacoli o difficoltà sopraggiunte. Il confronto con Gesù e il suo stile di vita missionaria resta sempre necessario, per poter dire: missione compiuta o no?
Ma la gente non concede loro neppure il tempo di mangiare. Anche il tentativo di montare in barca e attraversare il lago, per liberarsi dalla folla, non riesce. Giunti all’altra riva essi trovano una folla ancora più numerosa. Allora è Gesù stesso che prende in mano la situazione e tutta l’attenzione del racconto si concentra sulla figura di Gesù, che vive davanti agli apostoli la missione e trasmette perciò un grande insegnamento agli apostoli. Gesù “si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore e si mise a insegnare loro molte cose”. Gesù si commuove di fronte alle folle che si accalcano attorno ed esprime il motivo di questa sua interiore commozione, dicendo perché le folle si accalcano attorno a Lui. Perché soffre, si sente come un gregge disperso, abbandonato a sé stesso, senza un pastore che se ne prenda cura, lo sappia raccogliere insieme daccapo e guidare a pascoli ricchi di vita.
Così, semplicemente con la sua commozione e le sue brevi parole Gesù insegna come gli apostoli hanno da compiere la loro missione. Gesù non giudica la folla, tanto meno la condanna, prova solo compassione perché ciò che percepisce e stimola il suo intervento (la moltiplicazione dei pani segno dell’eucarestia) sono le sofferenze che travagliano la vita della folla. Lo sguardo suo non distingue neppure tra chi fa parte del suo gruppo religioso e chi no: ciò che lo colpisce è la sofferenza in cui vive e muore quella folla. E così qualifica l’intervento necessario: il pane di vita che la liberi da quella sofferenza comune e distruttiva, e i segni che ridanno vita.
Venendo al giorno d’oggi: la comunità cristiana è missionaria: e vuol dire che non si guarda addosso, guarda al mondo fuori, alle sofferenze, ai problemi sociali e personali che agitano la vita di tutti; è missionaria ma questo non vuol dire preoccupata di fare proseliti, allargare la propria religione, ma solo di rendere un servizio che allievi almeno le sofferenze e disagi, o offra una guida per la liberazione degli uomini dal peccato e dalle malattie che annunciano il destino di morte, contro le divisioni che spaccano la vita sociale e le malattie che avvelenano la vita personale. Gesù interpreta l’istanza ultima che emerge dalla folla, trovare un Pastore che renda presente nel mondo la presenza misericordiosa di Dio Padre, togliendo quello scandalo che impedisce loro di riconoscere il buon Pastore e Dio stesso, e che oggi allontana tanti dalla vita e dalla comunità Cristiana. Il buon Pastore, questa è la lezione per gli apostoli, non è che si occupa di problemi interni alla propria comunità religiosa, ma chi trascina e spinge tutta la sua comunità cristiana a servire il mondo in cui gli uomini si dividono tra loro, si disperdono, soffrono e muoiono, senza mai poter vivere quel momento di libertà da peccato e morte che permetterebbe loro di riconoscere in questo mondo i segni e la traccia del buon Pastore e di un Dio Padre che ama gli uomini.
P. Giuseppe Pirola sj