Furore religioso

Ancora sulla partecipazione televisiva dei religiosi; chi è pro e chi è contro

10/03/1999

Dopo l'ultima predica (Preti frati e monache in tv2), ho ricevuto parecchi messaggi che condividono e ringraziano per quanto ho scritto.

Uno solo m'ha internettato di non condividere la [mia] omelia sia nei contenuti che nella forma, aspettandosi un'analisi un po' più seria, profonda, perché - se non ho capito male - faccio pettegolezzi e dico menate, come don Mazzi gliele avrebbe definite.

Mi cita anche Francesco giullare di Dio, e giustamente (benché si tratti del titolo d'un film); ma Francesco e' stato giullare dicendo che la perfetta letizia e' nell'essere contenti d 'essere bastonati e non facendo il saltimbanco o raccontando barzellette; cose peraltro degnissime, ma da non confondersi con realtà di tutt'altro genere.

Il rev. U.L, invece, mi invia un lungo messaggio in cui, senza voler entrare in discussione col mio commento mi pone alcune domande che mi sembrano molto interessanti per tutti.

Quindi le noto e cerco di rispondere.

1. Gesù riusciva a farsi comprendere da tutti? Se e' giunto come "Parola viva tra noi, e' pure coincidente anche l'intenzionalità" a voler raggiungere l'udito di tutti gli uomini?

Rispondo. Certamente, ma occorre precisare: noi conosciamo solo quello che ci riferiscono i vangeli e, per di più, in quattro versioni verbali diverse; quindi quello che ci arriva e' la sostanza del Suo pensiero e non precisamente la forma precisa in cui l'ha espresso. Tuttavia abbiamo ottimi esempi nelle parabole (p.e. Mt 22 e 23), come sto per dire.

Mi pare comunque che non ci debba essere dubbio sulla risposta positiva ai due interrogativi; e, direi, a priori. Infatti, e' ovvio che chi era Dio, oltre che uomo, ed era venuto per testimoniare la verità e per far conoscere il Padre e se stesso, sapeva bene quello che poteva e doveva fare per farsi capire da chi lo ascoltava.

E questo, anche - e da notare! - attendendo alla varietà delle culture, delle mentalità e della diversità di accezione dei linguaggi, come Lui stesso ci insegna, p.e. nelle citate parabole. Infatti, p.e. nella parabola della rete gettata nel mare, si possono chiaramente intravedere i criteri della Sua comunicazione, che poi diventeranno quelli dell'odierna specifica scienza; primo fra tutti quello di adattare il linguaggio alla comprensione e alla mentalità dell'ascoltatore.

Nel caso, a un pubblico di pescatori e di commercianti, egli imposta il discorso su un argomento che tutti sentono emotivamente, cioè la pesca, sia come gesto del pescare (il regno dei cieli e' come una rete gettata nel mare: i pescatori risentono l'emozione del proprio gesto e i commercianti quella di come sarà l'effetto di quel gesto), sia come oggetto di commercio (la cernita dei pesci). Ma Gesu' non parla di pesca per parlare di pesci e per fare il pescatore o il commerciante, bensì per far capire che il regno dei cieli sarà di fatto una cernita. Analogo discorso con la parabola dei vignaioli e del convito nuziale.

In altre parabole, poi, farà capire che la cernita sarà su valori (p.e. la dracma e il tesoro nascosto) e su che cosa sono quei valori: la giustizia (p.e. gli operai della vigna, il tributo a Cesare), la fede (il fico maledetto), la fedeltà (p.e. i talenti, le vergini), la fraternità e la carità (p.e. il giudizio finale), ecc..

Da notare che quest'impostazione dell'insegnamento per parabole fa capire che Cristo tiene conto della mentalità di quella gente; mentalità che era quella che oggi in scienza della comunicazione si può chiamare contornuale della prima epoca, cioè abituata a partire dalla concretezza delle cose e non da considerazioni concettuali, come e' quella che ci arrivata a noi dalla cultura greca e latina e che oggi sta ridivenendo contornuale, ma della seconda epoca (cioè con strumenti di comunicazione tecnologici). Gesu' ci ha dato l'esempio, perché anche noi facciamo come ha fatto Lui (Gio 13,15), affinché, cioè, cerchiamo di conoscere la realtà e le condizioni della comunicazione dell'epoca in cui viviamo, vale a dire la situazione psicologica e la possibilità di ricezione dei linguaggi di coloro ai quali si rivolge la nostra comunicazione.

2. Il pulpito di Gesù' erano i luoghi feriali, le piazze. Non c'e' forse un problema di celebrare nel quotidiano feriale la sacralità pasquale? [Chiedo] se non abbiamo operato una riduzione ideologica o una restrizione culturale facendo passare il Vangelo o la Persona di Gesu' attraverso dei vestiti troppo sacri che Gesù forse non ha adottato per sé. Rispondo.

La questione è più suggestiva che reale; ma tocca un vero problema. Anzitutto, la predicazione di Gesù è problema di cosa e di come e non di dove.

Ma anche stando al dove, non mi pare che la Chiesa si sia ristretta ai soli pulpiti e oratori (salvo ovviamente certi errori di comportamento del passato e del presente); p.e. la benedizione della case (che pure oggi e' quello che e', anche per insufficiente impostazione pastorale di qualche sacerdote) non può non richiamare Cristo che predica o a Marta e Maria o in casa del tizio dove calano dal tetto il paralitico o della suocera di Pietro.

E non dimentichiamo, p.e. il mio confratello P. Tacchi Venturi ucciso per strada con una coltellata all'addome per certi suoi scritti o il mio ex-alunno P. Espinal ucciso in Bolivia con una fucilata perche' direttore di un Bollettino che reclamava giustizia. Ma anche Gesu' ha predicato nelle sinagoghe. Non e' vero? Comunque, e' vero che il quotidiano feriale dovrebbe sempre celebrare la sacralità pasquale. Cristo ci insegna che lui e' la Via, la Verità e la Vita, non il pulpito o il giramondo di Palestina, quindi problema di cosa e di come, non di dove. Se sacro è ciò che è dedicato a Dio e al suo culto, non mi pare si possa dire che Cristo non s'e' vestito di sacralità; basti pensare ai Suoi continui riferimenti al Padre e a Colui che il Padre ha mandato.

D'altra parte, se tutto il cosmo è opera di Dio, tutto ciò che esiste si riveste di sacralità, perfino il peccato che ne è la negazione o il rifiuto, perché ogni comportamento umano dovrebbe avere una sua sacralità, se l'uomo è impastato di Dio e da Dio a sua immagine e somiglianza.

Quindi, il fatto non e' che si sia rivestito di vestiti troppo sacri Cristo e il vangelo, bensì viceversa, che si voglia cioè rivestire di profano (di laico) anche ciò che è sacro. E questa tendenza e' frutto di quel secolarismo che oggi ha nei media (a causa soprattutto dei loro linguaggi che formano mentalità quantitativistica e materialistica) un grande e profondo incisore e diffusore. E temo che i religiosi di Costanzo e di Furore, in perfetta buona fede e anche con coraggio cristiano, non se ne siano accorti e ci siano cascati.

3. La Chiesa deve porsi il problema di una "visibilità", come veste e come Mistero. (...) Ma non e' forse che il Mistero soffre di afasia, cioè non riesce a dirsi? Rispondo. Certamente.

A parte che il Mistero e' mistero e quindi di sua natura e' afasico, cioè indicibile, però è anche vero che spesso si sente chiamare mistero quello che uno non sa spiegarsi per nescienza o ignoranza. In questi casi, l'eventuale colpa dell'incomunicabilità con la Chiesa-mistero è da attribuirsi non alla Chiesa stessa, bensì a qualcuno dei suoi rappresentanti, i quali non ne hanno idee chiare o non sanno spiegarsi.

Certamente, anche, il problema non si risolve confondendo o invertendo i ruoli religioso-laico.

4. Ed ecco: Dov'e' il problema del Sacro nel Secolare? del Vangelo nell'oggi? Rispondo. Non vorrei essere o sembrare semplicistico, perché il problema e' ben più complesso.

Tuttavia direi che alla base, oggi, c1e1 che i media hanno esasperato la mentalità quantitativistiica e secolaristica, introdotta, su base filosofica dal Positivismo e dal Marxismo e sul piano pratico dal consumismo e dal comunismo, facendola diventare massmediale, cioè comune e popolare, come comuni e popolari sono i media.

E' in questa sede che si giocano gli equivoci, ivi compresi quelli di preti frati e monache in tv. Il problema, dunque, e' quello di rendersi conto della vera situazione e di come affrontarla adeguatamente; vale a dire; quello di non prendere per lanterne le lucciole di certi paroloni che circolano anche nei nostri ambienti e di studiare bene la natura e le condizioni della comunicazione di massa, che e' quella oggi invalsa.

5. Mi può indicare un iter specifico o letture adeguate per formarmi in questo campo? Rispondo. Solo per iniziare, posso suggerire una mia dispensa Pastorale e mass media, che avevo adottato come libro di testo a un mio corso presso la Pontificia Universita' Lateranense, dalla quale tuttavia sono stato licenziato senza preavviso e senza rumore, perché il corso veniva sospeso (!?!)

E' del 1980; ma mi pare valido ancor oggi, perché in questi anni non s'è fatta molta strada, sotto il profilo metodologico e pastorale, nonostante il succinto ma magistrale art. 37 della Redemptoris Missio.

Ma se non mi si accusa di promotore di se stesso, suggerisco anche un'altra mia dispensa del 1994: Nuova evangelizzazione, nuova comunicazione e, alla base, un mio libro di teoria Dalla comunicazione alla lettura strutturale del film 1998 (tutti presso il CiSCS, tel. e fax 0187/778147).

Sempre a disposizione, cordialmente
 
P. Nazareno Taddei sj