I figli prodighi - di Don Adelio Cola

Anche i Santi sono ''tornati a casa'': perché non noi?

13/03/2010
– Lasciamo le novantanove pecorelle, – rispose il cardinale – sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era smarrita –.
È la risposta del cardinal Federigo Borromeo all’Innominato convertito, che lo vuole allontanare da sé perché non si sente degno di restargli vicino (I PROMESSI SPOSI, XXIII). È sincero il sentimento d’umiltà dell’uomo ch’era sempre stato orgoglioso, violento, fiero della sua potenza; evangelica la reazione del cardinale, che imita paternamente la figura di Gesù buon pastore.
«Bisognava far festa», spiega il padre al figlio maggiore, invidioso della festa fatta al fratello, il prodigo pentito, dopo il suo ritorna a casa ridotto in miseria dai vizi.
La parabola di Gesù riguarda tutti, i fedeli e obbedienti al Padre e i ‘prodighi’. Siamo tutti or dell’una or dell’altra categoria. Anche molti santi che veneriamo sugli altari e invochiamo come protettori, sono stati in certi periodi della vita un poco tra i primi e un poco tra i secondi. Scandalizzarci? Ma no, anzi rallegrarci e confortarci! Se essi ad un certo punto della vita «sono tornati alla casa del padre» dopo esperienze negative e peccaminose, possiamo sperare di potere fare altrettanto anche noi, nel caso che ci trovassimo ora o in futuro in situazioni simili alle loro.
Certe avventure di quel tipo saranno successe a qualche santo di minore importanza e ‘statura’, dirà qualche lettore.
Non è vero. Tra i ‘figli prodighi’ c’è stato, ad esempio, sant’Agostino, uno dei principali dottori della Chiesa, l’autore delle autobiografiche CONFESSIONI.
Del resto, «Se essi ed esse, i convertiti cioè, sono riusciti a fare ‘il viaggio di ritorno a casa’, perché non io?»
Ed ora tocca a noi.
Finché viviamo ‘fuori di casa’, in altre parole lontani dalla grazia di Dio, siamo, come dice il padre del figlio prodigo, «morti, perduti». Una volta convertiti, «siamo tornati in vita e ritrovati».
Ma, si potrebbe obiettare, chi mi assicura che, se torno a casa, il Padre mi accetterà di nuovo dopo quello che ho fatto?
Me ne assicura egli stesso, anzi è lui che organizzerà la festa in occasione del mio ritorno in famiglia.
«Il mio castigo è troppo grande, come potrò sopportarlo?» Così Caino aveva concluso, vittima della disperazione nel rimorso d’aver ammazzato il fratello Abele.
È compatibile, povero Caino, perché non conosceva quanto buono e misericordioso sarebbe stato un giorno Gesù, che avrebbe perdonato anche i suoi crocifissori, implorando il loro perdono prima di morire in croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».
Per quanto gravi siano i nostri peccati, la misericordia del Padre è sempre maggiore, è infinita.
A disposizione.
Don Adelio Cola