Le tenebre di oggi e il vangelo - di Mons. G.B.Chiaradia

Dal significato delle parole alla predicazione

12/06/2010
Non dimentichiamo, mai, il significato ancestrale della parola «Pasqua». Deve dominare la nostra mente e il nostro cuore. Il suo significato è «vita, passare oltre, camminare, correre, saltare, danzare».
Bisogna essere leggeri nel senso di liberarci da certe pesantezze insulse e pericolose che coprono il nostro quotidiano come un mortifero sudario. Non c'è bisogno di elencarle.
La morte è diventata purtroppo la soluzione di molti drammi, si è impadronita in modo particolare dell'animo dei giovani: chi alla ricerca di un lavoro che spesso non arriva mai, chi invece incappa nella droga e nell'alcool per provare l'inedito e non riesce più ad uscirne, chi vuol provare di tutto. L'adolescente non è immune: c'è chi ha cercato la morte perché non ha resistito ad una sgridata, chi per una bocciatura, chi per una multa col motorino.
Che cosa succede? Si può solo fare il viso compunto il giorno del funerale, e poi basta? È sintomatico che certi linguaggi, nati nel mondo della ricerca o del lavoro, siano finiti nel mondo della psiche sconvolta.
La parola nasce dalla ripetizione dei fatti. Così l'innocente termine «routine», nato come «consuetudine», «abitudine», ora significa, per lo più, la noia della ripetizione che suscita l'evasione, lo scandaloso.
«Stress», a sua volta, ha iniziato la «sua» carriera verso gli anni trenta nella metallurgia, per indicare la deformazione del metallo in condizione di tensione, per finire nell'uomo che risente del logorio psico-fisico per lavoro e preoccupazioni.
Si parla inoltre di sindrome aziendale da superlavoro, per poi scivolare nello sport, quando l'atleta è «scoppiato», e per fenire nel cervello che soffre di decadenza mentale, quando non riesce a superare una prova o a vincere una difficoltà.
Tutto il rovescio del detto latino «Acheronta movebo», usato da Freud come epigrafe d'apertura al suo testo «L'interpretazione dei sogni». Fa parte del monologo di Giunone nell'Eneide di Virgilio: «Flectaere si nequeo Superos, Acheronta movebo» («se non posso superare i celesti, caccerò via gli «Inferi»). Frase che esprime costanza e coraggio per vincere gli «Inferi» (le tenebre, la morte, la cattiveria).
Nel nostro secolo due tempi in antitesi? All'inizio l'idea del Risorgimento, erede del rinascimento, dell'illuminismo, della riforma: una sintesi che, con tante deficienze, è stata pungolo e scossa per capire, per volere. E poi la fine del secolo, sommersa di morti, di gulag, di lager, di siringhe, di faide, di stragi del sabato sera, nel filone dell'idea del nulla esistenziale, dell'angoscia, del pensiero debole, del tenebroso e del demoniaco, suscita interrogativi inquietanti.
Com'è stata, allora, la nostra predicazione del Vangelo della Resurrezione?
Bisogna saperla dire, saperla dare, ed inserire nel concreto quotidiano fatto di lavoro, di impegno e di speranza, quella del Vangelo, però, perché di quella solo umana non c'è tanto da fidarsi.
A disposizione
Mons. Giovanni Battista Chiaradia