Odio e invidia - di Mons. G.B.Chiaradia

I maggiori componenti dell'uomo: ma il Vangelo ci aiuta!

19/06/2010
Penso di non spingermi oltre i limiti del buon senso se mi permetto di definire l'odio e l'invidia i maggiori componenti di ogni vivente, quindi il pericolo più incombente sul quotidiano. Nei salmi della Bibbia l'odio diventa addirittura una preghiera: «Se Tu, Dio, uccidessi i malvagi! Allontanatevi da me, uomini malvagi, sanguinari.
Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! Quanto detesto quelli che si oppongono a Te, li odio con odio implacabile. Li considero miei nemici!» (Salmo 39,21).
Segno che, anche nelle preghiere, in epoche lontane, non c'era tanta finezza! Così, nella letteratura latina, Eschilo parla di odio divino. Le persone ingiuste sono colpite da Dike, la dea della giustizia. C'è pure, nella letteratura greca, la leggenda del pomo lanciato da Eris, dea della discordia, che provocò la contesa tra le dee, conclusa poi dal giudizio di Paride.
Un'antica consuetudine, comune a tutti i popoli nella fase iniziale della civiltà, era rispettare la legge per cui l'offensore doveva subire lo stesso danno che aveva recato all'offeso.
Consuetudine anche nell'età medioevale e oltre. Era la legge del «taglione», un latinismo, dall'aggettivo «talis» nel senso di «analogo trattamento».
Difficile a sparire, resta fissa nell'animo la frase: «Te la faccio pagare». L'ho sentita pronunziare la settimana scorsa in una partita di calcio.
Odio e vendetta vanno a gara contro amore e perdono, anche nel nostro quotidiano.
Ora sentiamo il Vangelo: Luca (14,26) parla di Gesù a pranzo in casa di uno dei capi dei farisei.
Quando esce, «poiché una folla numerosa andava con Lui», si volta e improvvisamente dice: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».
Nella nuova traduzione della Bibbia si legge invece così: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo».
Matteo (10,37) ripete le stesse parole di Gesù ma usa il verbo «fileo» = amare: «Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me». Nel precedente testo di Luca gli studiosi del greco biblico affermano che tra il greco biblico e il greco classico c'è spesso differenza di significato, tanto che la TOB (traduction oecomenique de la Bible), apparsa a Parigi nel 1988, (alla quale si riferisce la nuova traduzione della Bibbia in italiano ed. S. Paolo 2009) così traduce il testo di Luca 14,26: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre e sua madre, la moglie, i figli, fratelli e sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo».
Invece, per il testo di Giovanni (12,25) la nuova traduzione italiana ha dimenticato la correzione e ha continuato a tradurre con: «Chi ama la propria vita la perde», e chi «odia» la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Per «odia», Giovanni usa lo stesso verbo di Luca «miseo».
Anche coloro che non conoscono il latino e il greco è bene che riflettano sulla terminologia della Sacra Scrittura con l'ausilio delle traduzioni e delle note in calce che distinti biblisti italiani e stranieri presentano.
Leggere e commentare anche per pochi minuti una pagina della Bibbia, possibilmente ogni sera, ci aiuta ad entrare in una atmosfera che suscita commenti e interrogazioni a non finire che valgono per tutti, credenti o no. È una lettura che sveglia l'intelletto e colpisce l'anima della persona affinché, camminando, non incontri il baratro, anzi, si sentirà portato in sentieri sicuri, specialmente quando si rende conto che, quando si cammina, non si cammina mai da soli, ma c'è sempre qualcuno, famigliari o no, che da te deve imparare ciò che è alto e pulito.
A disposizione.
Mons. Giovanni Battista Chiaradia