Essere e Apparire - di Mons. G.B. Chiaradia

Lo scontro frontale dell'Io

06/11/2010
Ogni mattina prima di uscire di casa e iniziare a farsi vedere, camminare, fare, dire, decidere, uno sguardo allo specchio e ti vedi strano, con gli occhi spenti, anzi, densi di paura, le mani che con un tremolio ti fanno cascare le chiavi di casa… chissà perché.
"Ma, cosa mi succede?", pensi… Ma lo sai, sei scivolato nella notte o il giorno prima o un mese fa, non in una buccia di banana, ma in qualche cosa d'altro.
Macché, cosa da nulla! Succede!, ti dici, ma mentre lo dici il tremolio della mano s'accentua e al portone di casa non riesci a firmare la cedola del postino che ti ha portato una raccomandata.
Che cosa ti è successo? Lo sai bene. E non è la prima volta. Eppoi, che male c'è?
Mentre lo dici, sei giunto al posto di lavoro; ti senti un fuoco in viso di cui s'accorge il segretario: "Dottò, che gli succede? Cià mica l'influenza?"
Lo sai bene che non si tratta di influenza o altro, è quella cosa o quelle cose che vorresti togliere di mezzo e non ci riesci. Pensi a quella bimba, tua figlia, di tre anni che ti punta addosso gli occhioni, che hai baciato prima di uscire di casa.
Sai che cosa ti succede, ti perseguita, ti interroga incessantemente?
La "vergogna" è uno degli atteggiamenti elementari della vita, sorella della paura.
A partire da Omero, Epiteto, che spesso nomino perché sono i nonni della nostra letteratura, l'esistenza umana in toto è minacciata da potenze sovrumane, destini, divinità, demoni.
Oggi, la vergogna, dagli studiosi di psicofisica dell'individuo, è intesa come il rincrescimento di essere disonorato con il pericolo di essere esposto alla derisione della famiglia e della società. Questo nell'aspetto sociologico.
Omero usa il termine "aiscros" = vergogna, nel significato di sporco, sia in senso letterale che in senso metaforico. Nell'Antico Testamento il salmista ne parla nei Salmi 6,10; 35,26… ecc. e i profeti annunciano la vergogna dei nemici e degli empi come giudizio di Dio (Is. 29).
C'è una stranezza in tutti i tempi. La persona si vergogna di fare il segno di Croce quando passa un funerale, una processione.
Quella vergogna è subordinata alla paura di uscire dal gruppo degli indifferenti in un mondo sempre più laicizzato, di far capire a parenti, amici, conoscenti che la loro persona è avvolta dal sacro: quindi ne rispetta i segni, anzi li ripete come il segno di Croce e un inchino pur appena accennato davanti alla Chiesa. Gesti che diventano il consueto, il normale perché fanno parte del costitutivo della persona, più di un vestito, permeano il dentro e il fuori del corpo umano che con quel segno parla, catechizza e spesso insegna, capovolgono corpo ed anima della persona che ne rimane toccata.
Non è la parola pur saggia degli Altari che salva. È il corpo avvolto in quel vestito sfolgorante o modesto che ti dà un colpo all'anima per riflettere. Se poi c'è pure un segno di Croce, torni a casa e ci pensi.
Torno alla persona che si vergogna di fare il segno di Croce per strada, nella memoria di un brano del Vangelo che sta bene al termine di questo mio dire settimanale.
Il Vangelo di Marco 8,30ss. È Gesù che, direi, si sfoga:
"È necessario che il Figlio dell'uomo soffra molto, sia rimproverato dagli anziani, dai capi dei Sacerdoti, dagli scribi". Pietro lo rimprovera e Gesù risponde:
"Vattene lontano da me, satana perché tu non hai sentimenti secondo Dio, ma secondo gli uomini… Chi si sarà vergognato di me e delle mie parole in mezzo a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo insieme con gli Angeli Santi".
È bene vedere Gesù così forte e deciso in questo nostro tempo…
Mons. Giovanni Battista Chiaradia