Gli ultimi saranno i primi - di Mons. G.B. Chiaradia

La figura del povero che attraversa le scritture

05/02/2011
Ritengo opportuno richiamare la parabola di Matteo 20,1-16, che presenta i contadini inviati a lavorare in ore diverse nella vigna e tutti remunerati con la stessa paga, tanto quelli del mattino come quelli del pomeriggio, ha un punto forte che potrebbe sfuggire ad una lettura affrettata. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi".
Sta qui il punto interrogante della parabola: la trasformazione del concetto di ultimo che diventa il primo.
Molti profeti usano la formula "alla fine dei giorni" come orientamento positivo verso il futuro, che spinge una direzione completamente nuova. Alla fine dei giorni Dio rende possibile al suo popolo la salvezza (Osea 3,5) e manderà in rovina i suoi nemici, la salvezza "penetrerà sino alla fine della terra" (Is. 48,20).
I Vangeli riportano quattro volte (Mc. 10,31; Mt. 19,30; 20,16; Lc. 13,30) una sentenza di Gesù che in origine forse era formulata così. "Ci saranno dei primi che saranno ultimi e degli ultimi che saranno primi".
Forse in origine questa frase era un proverbio che aveva questo significato: "La vita dell'uomo può cambiare come un lampo". Questo detto di Gesù al termine del discorso con i discepoli (Mc. 10,28) stabilisce il giudizio finale a cui tutti saranno sottoposti: la contrapposizione tra primi e ultimi è il supporto di ogni società, di ogni politica. I primi sono le autorità: i re, i potenti attorno al re, gli ultimi invece sono gli schiavi, i servi, i poveri, gli ignoranti. Gesù capovolge questa priorità: i primi devono essere schiavi, le persone emarginate, perché malate o ignoranti. Tutto è capovolto nel Vangelo: Dio sta dalla parte degli ultimi, degli umili, dei poveri: anzi, i veri imitatori di Gesù sono proprio loro che non hanno nulla.
Coloro che si ritengono i primi, i migliori, i ricchi e i potenti, addirittura, se non si comportano da umili, saranno esclusi dal "banchetto del Regno di Dio" (Luca 13,28 e Matteo 11). Gli Apostoli devono già realizzare questo capovolgimento di presenza nella vita quotidiana.
La dottrina sul povero, nei libri sacri, non è iniziata nel Nuovo Testamento.
Nell'antica legge, precisamente nel libro dell'alleanza, (Esodo 21,2) si proclama il seguente programma rimasto sempre valido, anche se raramente realizza, specialmente nell'età moderna:
1) L'israelita che, per necessità economica ha dovuto vendersi come schiavo per far fronte ai debiti, dovrà riacquistare la libertà il settimo anno (Es. 21,2).
2) Sempre nel settimo anno, l'anno del maggese, il frutto spontaneo della terra appartiene ai poveri (Es: 23,10).
3) È assolutamente proibito sfruttare ed opprimere i poveri (Es. 22,22-26).
4) È vietato piegare il diritto a loro sfavore (Es. 23,6).
5) Jahvé medesimo si proclama protettore dei poveri (Es. 22,27) e ricorda ad Israele l'azione con la quale egli lo ha liberato, ponendo così fine alla sua condizione di schiavitù in Egitto (Es. 22,21; 23,9).
Con il passaggio da una economia di scambi in natura ad un sistema a mezzo di moneta, all'epoca dei re, molti contadini caddero in condizione di povertà. I profeti più antichi come Amos, Isaia, Michea minacciano il giudizio di Dio sui responsabili di quella povertà, ma specialmente sui ricchi.
Solo tenendo presente questa situazione storica, si può comprendere il concetto di "povero" che spesso si trova nei salmi: Il povero è quello che subisce ingiustizia, è povero perché altri hanno disprezzato le leggi di Dio, oppure lui stesso è responsabile della sua povertà. Nel suo abbandono il povero si rivolge a Dio, perché solo Lui può aiutarlo. Da questa autoidentificazione con il povero Dio viene lodato come difensore dei poveri che ristabilisce il diritto agli oppressi contro i loro nemici. Il profeta Ezechiele considera il crollo del regno come punizione di Dio per l'oppressione operata sui poveri. (Ez. 22,29).
Mons. Giovanni Battista Chiaradia