LE VACANZE SONO FINITE…. di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

… anche per chi è rimasto a casa …

04/09/2011

 

Le vacanze sono finite, anche per chi è rimasto a casa.

Parliamo un po’ del vocabolo 'vacanza' che non ha una bella etimologia. Proviene dal verbo latino 'vacare', nel significato di vuoto, anche ozio.

L'aggettivo 'vacus', infatti, distingue una persona senza preoccupazioni, senza amore, indifferente.

La vacanza, molto spesso, è proprio così, avvolta nell'indifferenza: si guarda a se stessi, senza pensiero per tutto ciò che succede attorno. Un egoismo del tipo che, se uno cade per strada o si ferisce in un incidente, non sono tanti coloro che si fermano per soccorrere.

Un altro vocabolo antico usato per vacanza è 'eremia', in ebraico; il latino conserva il suono 'eremus', quindi 'eremo' nella nostra lingua. Stupendo, riposante, vivificante l'Eremo di Camaldoli! Il significato di 'eremo' è 'deserto'. Ogni tanto bisogna fare 'deserto' in noi per accorgerci chi siamo, dove andiamo e cosa portiamo in giro con la nostra presenza, oltre la parola.

Nell'antichità latina 'eremus' ha pure il significato di 'devastazione', come attesta Omero, nel senso di lasciar sola la persona perché si accorga chi è, che cosa fa, che cosa dice col suo essere, non solo con la parola. Così, in questo senso, 'eremo' prende il senso di terrificante, tanto che nella Bibbia Antica diventa luogo dei pericoli mortali, della lontananza da Dio, delle potenze demoniache, per cui diventa tempo e luogo di riflessione e di dura penitenza.

Ecco un bel testo biblico (Deut. 8,15 ss):

'Quando il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto dalla condizione servile e ti ha condotto per il deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz'acqua, ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima e nel deserto ti ha nutrito di mamma sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti e farti felice nel tuo avvenire'.

Questo passo biblico è di grande importanza per una pedagogia della persona che, se desidera rinnovarsi, deve passare attraverso un percorso che non sia soltanto pensiero e promessa, ma sacrificio duro e costante.

I 40 anni vissuti da Israele nel deserto (libri dell'Esodo e del Deuteronomio) sono densi di particolare intimità con Dio, come racconta Osea. 'Quando Israele era fanciullo io l'ho amato, avevo cura di loro, io li sostenevo con legami di bontà, con vincoli di amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia' (11 ss).

Mirabile meditazione sulla storia della salvezza, in che modo Dio si comporta col suo popolo, elaborato secondo il simbolismo dell'amore genitoriale.

Quando Israele non si comporta bene, durissimo è il giudizio di Dio: 'Già da tempo hai infranto il giogo, hai spezzato le catene della schiavitù, hai detto: non voglio essere serva; però su ogni colle e sotto ogni albero ti sei prostituita e io ti avevo piantata come vigna pregiata. Come mai ti sei mutata? (Ger. 2,20).

Lode e castigo s'intrecciano quando si esce dal proprio sito e si cura con sapienza oppure ci si comporta male.

Nel primo caso si ritorna infelici e bastonati, se invece pensiero e azione sono stati degni del concetto di persona nelle sue caratteristiche personali, la 'vacanza' è diventata non solo riposo, ma rinnovamento del proprio Io.

Penso a tanti secoli fa, al tempo di Elia: i Recabiti, dal loro capostipite 'Recab', erano Israeliti che rifiutavano la vita stabile e abitavano in tende, invece di abitare in case.

Anche nel nostro tempo, almeno una volta all'anno, gli Israeliti vivono, per così dire, nel deserto come i loro antenati, quando celebrano la festa delle capanne (Lev. 23,34-Deut. 16,13).-

Riposo e riflessione s'intrecciano, discorsi e preghiere, scherzi e risate, incontri puliti, educati: si torna a casa riposati nel corpo e nell'anima.

Mons. Giovanni Battista Chiaradia