IL DOPO PASQUA… di mons. Giovanni Battista Chiaradia

…la resurrezione quotidiana…

27/04/2014

Il periodo che stiamo vivendo, il dopo Pasqua, corre il pericolo di essere un tempo di riposo della mente.

Il Cristianesimo è riassunto in questo tempo liturgico pasquale? No. Il Cristianesimo non termina con la Santa Pasqua e con tutte le liturgie che ci vengono donate nelle magnifiche funzioni pasquali.

Talora, la Liturgia, nella sua festività, si esaurisce in una forma di grandezza e di magnificenza donate dagli altari, facendoci dimenticare l'immenso significato racchiuso ed espresso nella vita del Cristo.

Sarebbe un bene che dalla Liturgia potessimo apprendere molto di più la Parola, (oltre il canto che certamente dona esaltazione alla persona).

L'esaltazione musicale deve portare con sé il concetto nel suo vero significato, altrimenti il canto è solo esaltazione del proprio IO e non incide nel pensiero.

Il dopo Pasqua è il periodo in cui la persona si rinnova in una sua resurrezione quotidiana. Questo tempo fa risorgere la persona 'sapiens'.

La sapienza dell'umanità non è soltanto conoscere quanto esiste nel mondo. L'uomo si avvolge in una qualità di vita che va sotto il nome di cultura: per le cose che sono fuori di lui non si deve sempre interrogare su che cosa sono e a che cosa servono; cerchi, in ogni modo, di impadronirsene per donare all'umanità un'altitudine di pensiero.

Il dopo Pasqua deve condurre la persona negli stadi supremi del sapere, del conoscere, tentando di raggiungere il supremo divino.

Nella Pasqua, dunque, la persona, nel corpo e nello spirito, si arricchisce di una letteratura che non è solo quella umana, ma anche divina. Di questo problema parliamo poco e si corre il pericolo che si presenti soltanto come conoscenza di vocaboli, senza averne la possibilità di sentirla appieno non tanto come cultura, quanto come immedesimazione.

Il Cristianesimo non è solo portare in noi e negli altri la vita del Cristo, ma prima ripeterla in noi, certamente senza avere la pretesa che possa essere come la Sua.

L'espressione 'Questo è il mio corpo', deve essere inteso nel suo vero significato, specialmente nel nostro tempo in cui il corpo difficilmente può confrontarsi col corpo del Cristo.

Su questo tema oso domandare: 'Oggi, un sacerdote, un padre, una madre, un ragazzo, una ragazza, sono capaci di dire: 'Questo è il mio corpo', come l'ha presentato Gesù?

Oso anche dire: 'Perché la nudità è vergogna? Eppure la nudità è opera di Dio! Che cosa ne abbiamo fatto? Voluta da Dio è diventata fonte di malizia. Non è difficile la risposta.

Dio ha creato il sublime molto arduo: per raggiungerlo è necessario avere forza e costanza, che Dio stesso ha postato nella ragione e nei nostri nervi.

Le scale per raggiungere Dio sono erte e faticose, ma di una fatica che sperimentiamo spesso nel quotidiano: raggiungere una meta vincendo l'ignoranza che è il male più grave dell'esistenza umana, col silenzio, la preghiera, la costanza. Il curato d'Ars, che all'inizio stentava quando nella sua parrocchia doveva parlare, dicono che puntasse gli occhi al Tabernacolo. Allora iniziava il discorso e la gente era stupita di quella parola leggera, leggera e nello stesso tempo profonda.

Se potessimo anche noi sacerdoti puntare il pensiero non solo nel libro, ma nella testa del Cristo, saremmo capaci di parlare alla gente dell'infinito con gli occhi della fede, e non solo con quelli del libro.

mons. Giovanni Battista Chiaradia