Dove sono i nostri morti?

È vero che i nostri morti ci sono più vicini che da vivi?

25/09/1999

Il sig. GM.B. mi internetta: "Ho sentito che a un funerale Lei ha detto che i morti ci sono più vicini che da vivi e ha portato delle ragioni. Mi vuole spiegare meglio?

Grazie." Rispondo volentieri, perché l'argomento mi sembra più che degno di una predica, tanto più che in qualche modo è la continuazione della predica 107 su "Paradiso e inferno".

Finché siamo vivi, noi siamo soggetti alle leggi del tempo e dello spazio. Fisicamente, noi siamo tanto più vicini quanto, nello stesso tempo, minore è la distanza fisica (spazio) che ci separa; p.e. se ci troviamo nella stessa stanza, possiamo addirittura vederci e parlare e anche toccarci; se siamo nella stessa casa, siamo già più distanti, ma possiamo facilmente avvicinarci.

Se poi ci troviamo in altra città o addirittura in altro continente, possiamo essere vicini col cuore, mentalmente, ma per poterci parlare abbiamo bisogno di strumenti come il telefono o la radio, ma non ci possiamo vedere o toccare e, volendo, possiamo far credere all'interlocutore, p.e., di star bene, mentre abbiamo una brutta cera o addirittura una grossa benda sull'occhio.

Quando uno muore non è più soggetto né al tempo né allo spazio.

La sua anima infatti, che è il suo principio vitale, è sostanza e non solo qualità, come la bellezza corporale; ed è immortale perché spirituale, quindi non sottoposta a corruzione .

Con la morte, l'anima ha lasciato il corpo, che era il supporto materiale della sua persona; un po' come una lampadina: se l'energia elettrica la penetra, essa è accesa, si illumina e fa luce; se invece l'energia si toglie, si spegne, non fa più luce, non serve più allo scopo per il quale era stata fatta.

Che se non è più in grado di ricevere l'energia (perché p.e. il filamento s'è spezzato), non serve più, si può buttare via. Ma finisce la lampadina (il corpo), non l'energia (l'anima). Anche negli animali c'è vita, perché c'è un'anima, cioè un principio vitale; ma quell'anima non è spirituale, quindi non è immortale.

Il paragone della lampadina, quindi, non serve; può servire invece il paragone con qualsiasi oggetto che si distrugge per una qualche causa.

Detto questo, ritornando ai nostri morti, la loro anima immortale vive in attesa di ricongiungersi col corpo alla fine dei tempi; ma non sarà più un corpo come l'attuale, bensì un corpo cosiddetto "glorioso", cioè con le caratteristiche fisiche attuali (si veda il Cristo risorto che appare agli apostoli e ai discepoli e mangia con loro), meno la dipendenza dal tempo e dallo spazio.

Ci è difficile farci un'immagine di cosa sia un corpo glorioso, perché non ne abbiamo mai avuto esperienza diretta; ma che sia così ce lo dice la fede. Meno difficile, invece, capire perché i morti ci possono essere più vicini dei vivi.Dio, purissimo spirito, è l'"Essere".

Noi esistiamo e continuiamo a esistere, perché Dio ci comunica il suo essere. Dio è dunque presente in tutto il creato, in noi come in un filo d'erba, come in un granello di sabbia. Il creato, ciascuno di noi, non è Dio (come credono i panteisti), ma Dio è in esso e in noi con il suo essere, un po' come (ma è solo un paragone) un oggetto che teniamo in alto con la mano non cade (continua a stare in alto) perché ha il supporto della nostra mano che gli permette di vincere la forza di gravità.

Così noi esistiamo e continuiamo a esistere perché ci supporta l'essere divino.Orbene, l'anima dei nostri morti è in Dio e ci può essere in tre diversi modi: o uniti in Lui, partecipanti della Sua luce, ed è il Paradiso; o in attesa di unirsi a Lui, dopo aver sofferto le pene dell'attesa per espiare qualche colpa, ed è il Purgatorio; oppure separati per sempre da Lui, soffrendo immensamente di questo distacco - vera pena di Tantalo che, tremendamente assetato, non può dissetarsi con l'acqua che ha davanti - ed è l'Inferno.

Chi è in Dio unito a Lui (il cosiddetto santo, anche se non canonizzato) non è Dio, ma è in Lui come essere finito, limitato; partecipa però del Suo essere e quindi anche, in qualche modo, del suo essere in tutte le cose del cosmo, quindi anche in ciascuno di noi.

E i nostri cari e amici o comunque in qualche modo legati a noi continuano a esserlo anche in quel mondo: in Dio ci vedono e ci seguono e, in qualche modo, anche ci comunicano. Non è una comunicazione com'è quella tra di noi viventi; ma è una comunicazione di anime, che richiede una certo raccoglimento, ma richiede anche una certa attenzione per non confondere la loro…voce in Dio con quella dei nostri sentimenti o del nostro sentimentalismo o, peggio, del nostro egoismo (non a caso, S. Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali parla di "Discrezione degli spiriti"); è una …voce che potrebbe presentarsi come voce della nostra coscienza; quella vocina che più di una volta abbiamo sentito dentro che ci diceva "non fare questo" oppure "fai quest'altro" e noi magari l'abbiamo trascurata.

Ed ecco quindi quella meravigliosa realtà che è la cosiddetta "Comunione dei Santi". E' un articolo di fede, accolto nel "Credo apostolico" del sec. V e tuttora presente: "Credo nella comunione dei santi"."Comunione" è "partecipazione". I verbi sono "echò" (avere), "metechò" (aver parte) e "koinonìa" usati nella Scrittura con senso di comunità terrena, mentre S. Paolo li usa per dire una comunità tra terra e cielo, cioè tra noi e Cristo risorto e con tutti i santi, cioè quelli che godono o godranno della visione di Dio.

La "Lumen Gentium" al n. 50 insegna: "La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti (…).

Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo [che è Dio], dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio.

E' quindi sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo e anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che "rivolgiamo loro supplici preghiere e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il figlio suo Gesù Cristo (…). La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima (…). 51. (…) Tutti, infatti, quanti siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia (cf. Ebr. 3, 6).

Domanda: e se disgraziatamente qualche nostro morto fosse all'inferno? Speriamo di no; comunque se è sempre Dio che fa passare la loro voce, non si esclude che Dio ci possa inviare anche qualche loro messaggio, come ci ha fatto intendere Gesù con la parabola di Lazzaro e il ricco Epulone.

Sempre a disposizione, cordialmente
 
P. Nazareno Taddei sj