Insegnaci a pregare

Ma come si fa a pregare? C’è un sistema, delle regole? Vediamo un po’…

01/11/2000

La sig. L., in una cena tra amici, mi ha detto: "Perché, Padre, non c'insegna a pregare? Io non vado più a Messa la domenica, perché c'è troppa confusione e non riesco a concentrarmi."

Mi pare che il tema possa interessare tutti.

Dico anzitutto che va ben distinto il problema della preghiera da quello del precetto domenicale della Messa: il precetto si osserva anche se non si riesce a concentrarsi in una preghiera personale; già la Messa di per sé è preghiera universale.

Per quanto, invece, si riferisce al problema della preghiera, dico che anche gli apostoli hanno fatto la stessa domanda a Gesù ed egli ha risposto (Lc 11, 1): "Quando pregate, dite…" e ha recitato quello che noi chiamiamo il "Padre nostro".

La formula del "Padre nostro" adottata, oggi, dalla Chiesa non è quella di Luca, bensì quella di Matteo (6, 9), che aggiunge le parole: "nostro, che sei nei cieli", "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra", e, alla fine, "liberaci dal male". Ma non c'è differenza di sostanza tra le due versioni, perché Luca omette semplicemente o attenua le espressioni tipicamente ebraiche di Matteo.

Infatti, "Sia santificato il Suo nome, venga il Suo regno" concettualmente è come dire "sia fatta la Sua volontà"; così pure: "liberaci dal male" è già compreso nel "non ci indurre in tentazione", perché in ebraico "tentazione" corrisponde a "male".

Ma da notare quel "nostro, che sei nei cieli", che per Luca è solo un ebraismo, ma per noi, oggi, è particolarmente significativo. Inoltre, l'evangelista Matteo inserisce il "Padre nostro"tra varie istruzioni. Scrive: " [Gesù ha detto] Quando pregate, non siate come li ipocriti che amano pregare per essere visti dagli uomini. [...] Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che glielo chiediate.

Voi dunque pregate così: 'Padre nostro ecc.' Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe." (Viene in mente la parabola del padrone e del servo, che pur perdonato non perdona; ma è punito [Mt 18, 23-35].)Per il nostro discorso, si impone anche la preghiera di Gesù nel Getsemani: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!" (Mt, 26,39).

Ed eccoci al "Padre nostro"."Padre nostro". Gesù ci fa pregare "Padre", non più "Signore", "Dio degli eserciti": siamo in famiglia, ambito di affetti.Da notare che Dio PADRE è la prima Persona della Santissima Trinità. Cioè: Dio, conoscendosi come Dio, si fa l'immagine di se stesso. Dicendo poi: "Sono DIO", genera il Figlio, il VERBO (la Parola), cioè "[sono] DIO"). Ed ecco perché "Padre". Il Verbo, questa Parola infinita, si farà uomo nel seno di Maria Vergine e sarà l'Uomo-Dio, Gesù Cristo.

Lo SPIRITO SANTO, poi, è la forza infinita che unisce Padre e Figlio. Essendo infinito e Uno, Dio è dunque Amore. L'amore non è né il sesso, né la sola amicizia e nemmeno l'amore materno o paterno, che spesso sono semplicemente istinto, come negli animali, o egoismo.

L'amore è un tendere a unirsi all'altro, dando senza aspettarsi di ricevere. Questo "altro" per Dio siamo noi e per noi deve essere Dio, che ci vuole unire a sé, in questa e nell'altra vita. L'amore è esattamente il contrario dell'egoismo. E infatti, facendoci chiedere di perdonare e come farci vincere l'egoismo. Infatti, perdonando e se superando la prova del male, noi vinciamo il nostro egoismo; ma lo facciamo per amore di Dio e del prossimo, perché siamo convinti che anche gli altri sono figli di Dio come lo siamo noi.

Così, la prima parte della preghiera (come vedremo) si collega strettamente con la seconda.Gesù poi ci fa dire anche: Padre "nostro", come se noi, anche quando preghiamo individualmente, pregassimo come fossimo comunità.Già con queste due parole, Gesù ci investe quasi a forza col suo raggio luminoso dell'Amore infinito, in qualche modo ci trasforma in Lui. Il corpo della preghiera è una preghiera di petizione divisa in due parti: per metà ci fa pregare perché si compia la volontà di Dio; per metà, ci fa pregare per noi stessi, ma al plurale ("nostro", "noi").

Ma le due parti, come già accennato, sono strettamente legate in un unico concetto. Da notare: solo un pezzo della seconda metà è per avere un bene materiale, il "pane quotidiano". L'altro pezzo ci fa invocare: a) il perdono dei debiti (peccati), però a condizione che anche noi perdoniamo ai nostri debitori; b) aiuto contro la tentazione (la prova) del male. Tutte cose spirituali.

Anche il "pane quotidiano" rientra tra quelle cose spirituali, perché è indispensabile per vivere. Dio infatti sa bene che abbiamo un corpo con le sue necessità e ci dice che non dobbiamo preoccuparci, perché Lui sa quello di cui abbiamo bisogno: "Guardate i gigli del campo e gli uccelli dell'aria", ha detto! (Mt 6, 26), Nemmeno un capello del vostro capo perirà!" (Lc 21, 18).

Quindi anche tutta la seconda parte è di natura spirituale come la prima ("gloria di Dio" "volontà di Dio", "regno; di Dio"). Illuminante è la preghiera di Gesù nel Getsemani ("Non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu!"). Gesù quindi immerge la preghiera in orizzonti immensi: il mondo intero negli spazi infiniti della Santissima Trinità, che è l'Amore. In altre parole, la preghiera deve consistere nell'abbandonarsi alla volontà di Dio, che è "nostro Padre" e ci chiede di essere Amore con lui, il che facciamo seguendo appunto la Sua volontà. Ma Gesù ci ha buttato lì un'altra parola: "E' necessario pregare sempre e mai venir meno" (Lc 18,1).

Come si fa a pregare sempre, anche quando dormiamo o mangiamo o attendiamo a lavori che occupano interamente i nostri pensieri? E' esattamente quel "Prega e lavora", che S. Benedetto ha insegnato ai suoi monaci.Vuol dire che la preghiera - e quindi anche la sua efficacia - deve essere, alla base, un atteggiamento esistenziale; un modo di vedere le cose e di vivere in conformità, ottenuto con la ragione, con l'onestà, con la lealtà verso noi stessi e verso Dio e, ovviamente, con la preghiera, fatta come quella del pubblicano al tempio (Lc 18,109): "Abbi pietà di me, peccatore!": un atteggiamento di umiltà e di adeguamento alla volontà di Dio: "Se è possibile passi da me questo calice; ma quello che vuoi tu, non quello che voglio io."

Allora è chiaro che il nostro atteggiamento esistenziale d'apertura e di disponibilità alla volontà di Dio è in atto anche se dormiamo, anche attendiamo materialmente ad altre azioni. Come il respiro o i battiti del cuore. Non sarà difficile, allora, esplicitare direttamente e attivamente qualche nostra preghiera, anche solo come un soffio ("Per te", "Aiutami", ecc.), per i nostri bisogni, avendo sempre sullo sfondo la volontà di Dio: "se è possibile", come ha detto Gesù nel Getsemani.

C'è un'altra frase - magnifica e terribile - di Gesù: "Se avrete fede quanto un granellino di senape, trasporterete le montagne" (Mt 17,19; Lc 17,8). Vuol dire che se noi non riusciamo a trasportare le montagne, a risuscitare i morti, a guarire i nostri infermi, è perché non abbiamo tanta fede quanto un granellino di senape. Ma la fede è un dono! Per averlo, dobbiamo chiederlo, con la preghiera. E siamo da capo: volontà di Dio; cioè, da parte nostra, rispetto per le leggi fisiche, fisiobiologiche, psicologiche e morali sulle quali Dio, creando, ha impostato il mondo.

Se è così, non ci dobbiamo preoccupare delle difficoltà che incontriamo nelle nostre preghiere: distrazione, noia, tentazioni e cose di questo genere.Una tentazione, però, può essere anche questa: perché pregare, se Dio non ha bisogno della nostra preghiera? Rispondo: il bisogno di pregare è nostro, non è di Dio; Egli attuerà sempre il suo Piano divino nella Sua giustizia e misericordia.Ma, allora, perché dobbiamo chiedere che si compia quella volontà, quando sappiamo che essa in un modo o nell'altro si compirà comunque? La risposta è semplice: Dio rispetta la nostra libertà e noi, accettando la Sua volontà - con la gioia del Padre che accoglie il Figliol Prodigo - collaboriamo all'attuazione di quel Piano.

E per finire: "Ma il Figlio dell'uomo, - si è chiesto Gesù alla fine del discorso del granello di senape - quando verrà, troverà la fede sulla terra?" Questa domanda, che è angosciosa, probabilmente è nata nella mente di Gesù proprio prevedendo come sarebbe stato interpretato, nei secoli, il senso della Sua preghiera, cioè con egoismo al posto dell'amore.

Sempre a disposizione, cordialmente
 
P. Nazareno Taddei sj