Sanremo 2002: esaltazione ufficiale della volgarità

Da San Remo e in particolare dalla esibizione di Benigni abbiamo avuto la conferma che in TV la voplgarità è una componente essenziale; ma tutto ciò è giusto?

14/03/2002
R.F. mi internetta: «Anche Lei pensa che “Dobbiamo essere orgogliosi di essere concittadini di Roberto Benigni” come ha detto Pippo Baudo al Sanremo dell’altro ieri?»
 
Rispondo: assolutamente no, con tutto il rispetto per il bravo guitto Benigni e per il buon professionista Baudo (forse un po’ troppo accentratore; ma ormai è il vizio dei conduttori di trasmissione; e forse più interessato al business che alla musica).
 
Ma nemmeno mi sento orgoglioso per questo festival «della musica italiana» che - senza colpa della musica - è stato il Sanremo dell’esaltazione ufficiale della volgarità.
«L’Osservatore Romano» (13.03.02) l’ha chiamata «grevità» e «fatidico gesto un tempo definito d’osteria» e, oggi di rete in rete, «normale tocco di classe».
Esaltazione ufficiale, perché la scaletta era evidentemente premeditata: lo… storico gesto volgare lo  ha iniziato Fiorello, in serata d’apertura; il giorno dopo, la Marchesini ha giocato di doppi sensi; il terzo giorno, la Fiorilli lo ha rievocato con un gesto ben poco degno d’una signora top model, provocando il rimpianto di Baudo perché non l’ha portato a termine e l’ha fatto trionfare Benigni nell’intervento finale.
Per l’occasione, Benigni, oltre che guitto senz’altro eccezionale (basti pensare al suo ingresso a passo di musica), s’è dimostrato purtroppo anche un perfetto conformista (300 milioni sono pur qualcosa): in campo politico, ha accennato maliziosamente a Berlusconi, falsamente zittito, come a nome… proibito per paura di rampogne, ma alla fine lo ha osannato «con l’augurio che ognuno di noi, quando va a letto, lui agisca in modo da farci sentire orgogliosi di essere italiani. Buon lavoro, Presidente, buon lavoro!»; in campo, diciamo morale, ha insistito nella volgarità dei gesti verso il basso ventre di Baudo e sotto le sottane della Manuela Arcuri; ma è riuscito – e piuttosto bene, direi – a coprirla immergendola in uno strampalato discorso sull’amore, recitando poi il canto 33 del Paradiso di Dante («Vergine Madre, figlia del tuo figlio») e concludendo con una sua bellissima canzone, leggermente materialistica (come quasi tutte le canzoni d’amore odierne): «Nell’amore le parole non contano, conta la musica».
Un capolavoro di conformismo: fai lo sbrego e ci metti una pecetta. Tant’è vero che ha recitato molto bene i versi di Dante, in modo da renderne chiaro il significato trecentesco, ma senza quell’afflato di convinzione, evidente nella sua canzone.
 
Benigni, s’è detto dai media, ha avuto come compenso per il suo intervento (27’ 38”) 300 milioni di lire, alla barba – lui di Sinistra – d’un lavoratore, il quale, se ben pagato, impiega dieci anni per intascare quella cifra!
 
Ma inutile prendersela con lui. Se mai, prendersela con chi l’ha chiamato e a quel prezzo.
Tutto è svelato nelle parole di Baudo appena uscito Benigni: «Una lezione di classe, di stile, di grandezza! Io, come tutti voi, sono sconvolto, perché ci ha fatto ridere, piangere: è la forza dei grandi comici, passare da un registro all’altro… Non voglio continuare… Un po’ di pubblicità.» Nessun accenno al contenuto morale, alla pericolosità morale e sociale di simili «lezioni», dove si confondono i limiti della decenza e dell’indecenza, della verità e della falsità, dell’amore e del sesso.
Anche lui è scusabile (fino a un certo punto): è il suo mestiere. Deve pur sostenere il suo spettacolo, che quest’anno pare si sia caratterizzato per le continue calate di audience.
 
Spaventa invece l’entusiasmo di applausi e di risate che ha accolto fino dalla prima serata l’attuarsi di quella scaletta volgare. Cos’è divenuta la nostra gente di Sanremo? Qualche volta fa, proprio lì, avevo sentito la gente reagire con lo scarso applauso a battute o ad atteggiamenti volgari. Quest’anno, no; la gente è impazzita fin dal primo momento e ha continuato a esserlo fino all’ultimo. Nella sala di Sanremo, si può parlare solo di borghesia, e medio-alta; ma stampa e media rispecchiano (forse) un po’ tutta la nostra popolazione: anche qui, grandi titoli, servizi plaudenti ecc.
Come la mettiamo, se sono vere le notizie dell’Auditel? O l’Auditel o i media d’informazione mentiscono, ovviamente per ordine del business.
Il direttore de «La Nazione» (13.03.02, pag. 20) avverte: «Dire male di Sanremo sarebbe come (qualche anno fa) dire male di Garibaldi». Quindi pericoloso anche per me fare prediche come questa.
 
Ma perché questa predica? Solo per parlar male di Benigni e di Baudo & Ci? Francamente no.
Allora: è peccato scherzare con gesti volgari?
Direi che non è questione di peccato, bensì di perdita di valori civili: quella zona dove è questione di dignità umana, prima ancora che cristiana.
Perdere di dignità è mettersi sulla china scivolosa del non rispetto dell’altro. E’ una china che arriva alla calunnia, all’offesa, anche all’omicidio. Pensiamoci bene.
C’è da augurarsi che i rilievi dell’Auditel affermino veramente che non tutta la gente d’Italia ha perso il valore della dignità.
 
La predica, oltre che esprimere questa speranza, sostanzialmente cristiana, anzitutto è nel richiamare l’attenzione di tutti circa la delicatissima situazione nella quale ci troviamo con fenomeni di massa, come quello oggi di Sanremo, domani di manifestazioni di piazza analogamente ipocrite; in secondo luogo, è nel rilevare con forza il subdolo, quasi impalpabile, influsso dei media anche sulla brava  gente, in fatto di dignità.
Non mi meraviglierei che qualcuno che mi legge, mi dicesse: «esagerato!» Sarebbe già un segno che anche lui sta per essere immesso su quella china e incastrato nel degrado civile e morale, che a Sanremo ha portato ad applaudire anziché zittire e fuori di Sanremo a non preoccuparsi di conoscere e di far valere  la verità e la giustizia.
 
Speriamo bene!
Sempre a disposizione, cordialmente
 
P. Nazareno Taddei sj