Coscienza: ancora interrogativi

Una serie di quesiti, aventi per oggetto la coscienza, ai quali si cerca di dare risposta

27/01/2004
Il sig. A.T. mi internetta: "Ho molto apprezzato le Sue risposte agli interrogativi posti nel primo numero dell'anno del settimanale Venerdì scorso. Se non sono indiscreto, La prego di riprendere il discorso su "I robot potranno mai avere una coscienza?" e rispondere ai seguenti: "In che modo ha avuto origine la vita?" , "Smetteremo mai di fare la guerra?" e "Che cosa accadde prima del Big Bang?". Sono problemi che mi angustiano dentro. Grazie!"
Rispondo volentieri soprattutto perché sono problemi che - se non sbaglio - interessano il Suo interno sotto il profilo religioso o quanto meno turbano in qualche modo la Sua coscienza.
Mi allaccio anzitutto al primo interrogativo, per soffermarmi qualche istante sulla parola  "coscienza".
E' una parola dal significato complesso. Il filosofo Hamilton, addirittura, in Lectures, Metaphisics, I, 191, scrive che "la coscienza non può essere definita (.) perché è alla radice di ogni conoscenza."
Da notare che in tutta la Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento) non si trova mai la parola, se non in S. Paolo; se ne trova però  il senso. E lì ci riferiamo alla coscienza in senso morale, che non è l'unico.
In senso generale, diciamo che la coscienza è quella nostra capacità (o atto o fenomeno o testimonianza) delrenderci conto di quanto succede dentro di noi relativamente al nostro comportamento.
Dal momento che si tratta di un atto di riflessione (nel senso di ri-flettere sul nostro interno: pensare e accorgerci di pensare e/o di sentire interiormente e quindi, appunto, "coscientemente") è capacità o atto di vita intellettiva e non solo sensitiva.
Prendendo la parola in questo senso, possiamo rispondere alla domanda circa il robot.
Il robot è un essere inanimato, molto meno di un cane o di un gatto; capace però d'essere dotato di strumentazioni che riproducono certi aspetti - ma solo fisicamente mensurabili e imitabili - degli esseri dotati di sensibilità e, fino a un certo punto, anche di intellettività. Un robot potrà essere perfezionato (e fino a un certo punto è già arrivato) a compiere atti che a prima vista sembrano sensitivi o intellettivi; p.e. scegliere tra quantità e quantità, tra qualità e qualità, tra oggetto e oggetto, tra il muoversi o lo star fermo, tra percorso e percorso: scelta però sempre e solo subordinata a quello che l'uomo ha voluto che faccia e sempre limitato al campo fisico che è in grado di sopportare.
Come già detto l'altra volta, "quel fatto di coscienza sarà dell'uomo e non del robot, il quale non sarà altro e sempre che l'esecutore tecnico e materiale di un sistema intellettivo".
Il robot non potrà mai, essere dotato di vita sensitiva, tanto meno, di vita intellettiva; quindi sempre meno di un cane o di un gatto (che almeno sono dotati di vita propria vegetativa e sensitiva), pur con risultati che appaiono e soprattutto appariranno mirabolanti.
Se l'asino di Buridano muore di fame di fronte a due mucchi di paglia identici, scappa però per istinto di fronte a qualcosa che gli appare come un pericolo. Un robot non arriva a scegliere tra due mucchi di fieno; ma non riesce nemmeno a fuggire di fronte a un pericolo incombente, a meno che l'uomo non gli abbia messo in linguaggio-macchina e quantivizzato una cosa cui fisicamente risponderà  fuggendo e/o compiendo atti che di fatto (senza che abbia sensazione) lo difendono.
Nel caso del robot, possiamo parlare d'un tipo di coscienza ch'è quello della sola avvertenza  materiale, che, come avvertenza,  è sempre e solo nell'uomo; dove però l'uomo può "tradurre" l'oggetto di ciò che "avverte" , in tali linguaggi o modi (mensurali e fisici), da poter essere attuati (e non "coscientizzati") da un animale o da un robot, salve le opportune modalità.
 
Ma c'è un altro significato della parola "coscienza", cioè la "coscienza morale".
Si può definirla: la capacità di ri-flessione o testimone o giudice dei propri comportamenti in ordine a qualcosa di superiore che è la norma del bene e del male.
Sotto questo profilo, la coscienza può essere "giusta" (quando è perfettamente conforme ai criteri di moralità, cui ci si affida, p.e. la morale cattolica o la legge naturale; e varia a seconda delle culture e religioni: cfr il "Catechismo della Dottrina Cattolica"); "retta" (quand'è conforme al sentire personale, che sia sincero e non lasso o erroneo o dubbio); "lassa" (quando interpreta con eccessivamente scarsa oggettività o fedeltà i criteri di moralità cui ci si affida); "erronea" (quando viola quegli stessi criteri); "dubbia" (quando è incerta circa la norma da applicarsi in quel momento). In questo senso si può parlare di coscienza "buona" o "cattiva; in caso di "dubbio", vale il criterio de "la legge dubbia non obbliga", ma incombe il dovere di uscire dal dubbio prima di operare.
Da ricordare che, anche secondo la morale cristiana, la coscienza (almeno "retta") è la prima norma di moralità.
 
Con queste note, possiamo già rispondere all'interrogativo: "Smetteremo mai di fare la guerra?"
La risposta dipende sostanzialmente dalla coscienza degli uomini. La risposta è sì, se si attua la condizione che la coscienza sia almeno "retta". Altrimenti la risposta è purtroppo: "no".
Se la guerra fosse un male assoluto, il primo guerrafondaio sarebbe il Padreterno, sempre che la Bibbia dica la verità e sia la voce di Dio.
Ma la guerra - ogni guerra, anche solo politica, se impostata sulla menzogna - è un male, pur non assoluto, e per quanto possibile va evitata. Certo non è giustificata per ambizioni grandi o piccole, pubbliche o private , tanto meno per rivincite o gelosie di qualsiasi genere. (So bene che, nel clima odierno, anche qualcuno tra i cattolici non sarà d'accordo su queste affermazioni; ma l'ordine morale viene dalla natura e dalla teologia, non dalla schiavitù imposta psicologicamente dalle ideologie).
E' un problema di coscienza! E allora questo Islam che vuole la guerra santa? Certo sbaglia, anche contro il suo Corano; ma, sotto questo profilo, lasciamo che giudichi Dio. Noi, in coscienza, possiamo avvertire;  e anche dobbiamo difenderci; non certo con le caramelle, ma nemmeno  con le chiacchiere.
 
Gli altri due interrogativi (origine della vita e Big Bang) sono molto collegati per la risposta che può dare un cristiano.
Gli scienziati fanno bene a studiare, ma si trovano  davanti a qualcosa che, ben più d'un mistero, è una  certezza: l'Architetto dell'universo.  Anche qui, vorrei dire, è problema di coscienza.
Non mi dà fiducia chi scrive: "Creare la vita in laboratorio è difficile. Ma possibile". Più attendibile chi cerca di "immaginare come l'universo abbia compiuto il 'balzo quantico dall'eternità al tempo'",  con S. Agostino da una parte e  Einstein dall'altra, che, in buona coscienza, ammettono e non solo immaginano il Creatore.
 
Sempre a disposizione. Cordialmente

 

P. Nazareno Taddei sj