Welby: è suicidio? - di P. Lorenzo Giordano sj

Riflessioni e commenti su un caso di grande presa mediatica

16/06/2007
Di certo nella sensibilizzazione collettiva molto ha fatto riflettere il caso di Piergiorgio Welby.
L’enorme risonanza della lucida, serena determinazione con la quale Welby ha chiesto ed infine ha ottenuto la sospensione di cure definite intollerabili ed inutili ha trasformato la sua tragica esperienza umana in una questione etica e civile non eludibile.
In un articolo apparso sul Corriere della Sera del 23 gennaio 2007, Gianguido Vecchi scrive: «il filosofo cattolico Reale Giovanni, curatore delle opere di Paolo II, si è schierato prima di Natale con Welby: “posso io vivere in ostaggio di una macchina? Ha senso? Dio mi chiede questo? Non ho dubbi: Dio non mi chiede questo”».
 
In un altro articolo di G. Vecchi, sempre della stessa data, con il titolo "Ha ragione, bisogna imparare ad accettare la morte", il filosofo G. Reale dice: "Dio non ci chiede di vivere in ostaggio di una macchina, dobbiamo guardarci dal trasformare la sacralità della vita, nella sacralità della tecnica fino a fare della tecnica un Dio che dice: alzati e cammina."
L’eutanasia è inaccettabile, ma il caso Welby non aveva nulla a che fare con l’eutanasia perché era accanimento altrettanto inaccettabile.
Non si può impedire ad una persona di vivere prigioniera della tecnologia, quando la cosidetta «cura» non ha più effetto, procura sofferenza ed impedisce con la violenza l’estrema richiesta di quel uomo, che non significa affatto «darsi la morte», ma di «non poterlo impedire».
 
Certo, esistono zone grigie secondo la mia esperienza. Martini ha ragione, raccontava nel ottobre 2006 al Corriere Don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele: per me come si discute spesso, l’eutanasia è un falso problema: diverso è «aiutare nel morire» e «far morire».
Tenere in vita una persona a tutti i costi è ostinazione, non conservazione della vita. Se una persona vive così, solo grazie alle macchine, e chiede lucidamente di essere staccato, io credo che farlo possa essere un gesto d’amore, un gesto cristiano, non eutanasia.
 
Riccio [il medico che ha soministrato la sedazione a P.G. Welby, NdR], quando ha consegnato le cartelle cliniche, così ha motivato il suo verdetto: «Welby era pienamente consapevole e sapeva quello a cui andava incontro».
La sedazione praticata da Riccio prima del distacco dal respiartore, è stata corretta: il farmaco somministrato non ha provocato la morte del paziente e non c’è stato nessun atto eutanasico. Welby è stato «aiutato» nel morire e non a morire.
 
Inoltre Riccio, nella tesi di difesa, ha dichiarato a una agenzia stampa: la sedazione somministrata da Riccio non fu letale e l’azione di distacco del ventilatore automatico, che consentiva la respirazione a Piergiorgio Welby, malato di una grave distrofia muscolare non fu un atto illegale, ma la semplice attuazione della volontà del paziente di rifiutare la prosecuzione delle cure straordinarie.
Il giornalista Acattoli in un articolo del Corriere della Sera, martedì 23 gennaio riporta la testimonianza della moglie di Piergiorgio Welby: «ha detto la moglie di Welby che il Cardinale Ruini, ancora oggi non ha capito la storia di mio marito, che è stato addormentato per poter morire tranquillo e non è stato ucciso».
 
Il suo non è suicidio!
 
Alla luce di questa citazione non posso sottacere e non smascherare purtroppo la strumentalizzazione di politica di certa cultura liberale radicale, che ha usato il caso Welby come prova della necessità di una legge permissiva dell’eutanasia.
 
A questo riguardo, per un discorso più esauriente, consiglio di riferirsi alla rivista Aggiornamenti Sociali (maggio 2007) sotto il titolo: «il caso Welby: una rilettura a più voci» (pag. 346, gruppo di studio sulla bioetica).
 
La richiesta di Piergiorgio Welby di sospendere la terapia con l’aiuto di Riccio, è legale.
Riccio ha solo aiutato a morire naturalmente e senza sofferenze, con una sedazione che non fu letale, come afferma lui stesso, e non fu atto illegale la semplice attuazione della volontà del paziente di rifiutare la prosecuzione delle cure straordinarie tecnologiche.
 
Il caso Welby lo presento con cuore sacerdotale al Mistero dell’Amore Misericordioso di Dio, non come Giusto Giudice, ma Salvatore. È l’unico a cui affidarsi, al suo Cuore Grande.
È l’unico che conosce tutto con bontà, rispetto e comprensione.
 
Sempre cordialmente P. Lorenzo Giordano sj