La novità della Pentecoste - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

Un vocabolo che traduce solo un numero, ma cela un grande significato

08/09/2007
Per conoscere e vivere le parole della Bibbia non è necessario essere competenti in «semantica»: la dottrina delle indagini sui significati delle parole nell’origine del loro apparire e nel percorso della storia.
La Bibbia la si legge pregando, voglio dire con l’attenzione del sentimento più che della mente, verso Dio che dona alla mente l’intimo valore della parola che Lui stesso ha dettato, il vero senso della natura che ha creato e che ci avvolge, da una farfalla che ci vola in viso ad un serio problema del quotidiano che vorremmo chiarire e risolvere.
La parola che in questi giorni si presenta in tutti i calendari, anche i più birichini e talora dissacranti, è «Pentecoste».
Timido vocabolo che da solo non è capace di esprimere qualcosa, perché freddo e frettoloso, appartenendo al numero, tocca e scappa via e se non ha in sé un’idea, un fatto, non si ferma.
È proprio il caso dell’aggettivo numerale «Pentecoste», simile nel suono al greco, tradotto con «cinquantesimo». Per averne un significato lo si mette accanto al sostantivo «Hemera» = giorno.
«Cinquantesimo giorno» dopo la Pasqua.
È Luca che nel capo 2 degli Atti degli Apostoli tramanda nel tempo: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovarono tutti insieme nello stesso luogo. Venne dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo; apparvero lingue di fuoco, si posarono su ciascuno di loro ed essi furono tutti ripieni di Spirito Santo. La folla rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua…siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della mesopotamia, Giudea, Cappadocia, Ponto, Asia, Libia, stranieri di Roma, Ebrei, Cretesi ed Arabi»…
Sono i discepoli di Gesù, pescatori, artigiani timidi paurosi come si erano manifestati negli ultimi momenti della vita del Maestro, lasciandolo solo sul Calvario, che ricevono il prodigio di parlare tutte le lingue per annunciare la nuova dottrina.
Questo fatto non testimoniato solo da Luca, ma da tutta la storia.
La cultura dei latini, dei greci, degli Arabi, degli Ebrei si illumina della nuova dottrina.
Non sarà facile, sorgeranno le persecuzioni, teribili spaventose: tutti quegli araldi della Pentecoste moriranno martiri.
Finalmente dopo 300 anni all’epoca di Costantino la dottrina cristiana si introduce lentamente nella storia.
Da quel momento inizia una civiltà che accompagna l’umanità con un Spirito che non è solo inteso come materia sottile e impalpabile, forza animatrice come negli Stoici della Filosofia greca per i dotti, e come divinità abitanti in un Olimpo della fantasia o, saltando nei secoli, nel nostro Rinascimento come «disposizione» all’infinito o «disposizione o atteggiamento verso il più e il meglio oltre la materia: celebre l’espressione Pascal: spirito di geometria, spirito di finezza e finalmente anche spirito religioso». È lo Spirito Santo, persona divina.
Con la filosofia di Hegel lo «Spirito Santo» punta in alto; con spirito soggettivo intende l’anima, l’intelletto, la ragione, capaci di puntare in alto verso lo spirito assoluto e oggettivo, intendendo il mondo dell’arte, della filosofia e della religione. In questa concezione del mondo della cultura laica, lo spirito ha cessato di essere attività soggettiva per diventare realtà storica, mondo dei valori.
Intuizione che porta allo spirito della Pentecoste.
Per capirla e viverla anche la filosofia laica ci insegna che è necessario «finezza d’animo». Si ottiene con la preghiera.
Non è difficile. Basta un esercizio di questo tipo.
Ogni mattina all’alba, ogni sera al tramonto con la mano destra toccare la fronte (la mente, il pensiero), il petto (il sentimento, gli affetti), la spalla destra e sinistra (l’impegno, lo studio, il lavoro) e dire: con Te, Padre che mi hai creato, con Te Figlio di Dio che mi hai redento, con Te Spirito Santo che mi fai pensare e dire.