Il Triduo Pasquale - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia


18/03/2008

Fra non molto incontreremo il TRIDUO PASQUALE: sintesi della nostra vita quotidiana: Giovedì Santo, Venerdì Santo, Sabato Santo.

Può succedere che alcune fasi di queste tre giornate ci sfuggano, senza avvertirne il messaggio nella sua completezza.

Bisogna prepararci prima, puntando su quei momenti che maggiormente interessano la nostra persona.

Mi fermo soltanto al GIOVEDI’ SANTO.

In Giovanni 12,47, prima di iniziare l’ultima cena con gli Apostoli, Gesù raccomanda attenzione a quanto sta per dire e fare.

«Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno, perché non sono venuto per condannare, ma per salvare. Ha però chi lo condanna nell’ultimo giorno».

È bene ricordare questi avvertimenti di Gesù prima di iniziare ogni giornata specialmente quella del GIOVEDI’ SANTO.

Ciò che viene dopo è sconcertante: la LAVANDA DEI PIEDI per rammentare che il punto centrale della persona, prima di qualunque altra azione o parola, è il servizio all’altro, chiunque sia, al massimo grado, in cui le parole e i programmi tacciono e la persona si inginocchia e lava i piedi al prossimo che ne ha bisogno, in senso reale o in senso esemplare nei diversi ed infiniti momenti della vita provata dal disastro.

È questo il potere non solo dei successi degli Apostoli, ma di ogni persona che si dichiara civile. Giovanni decise di non parlare della istituzione dell’Eucarestia in questo momento.

Questo silenzio ha un significato.

Prima del «sacro» propriamente detto, c’è, per il Cristianesimo, il sacro del misero, del malcapitato, del malato, del distrutto dagli affanni della vita e dalla incoerenza di chi comanda.

A Giovanni interessa, in questo momento cruciale della vita di Gesù, la raccomandazione di essere servi al massimo della realtà, in umiltà e silenzio, per cancellare l’insulto che impoverisce la civiltà.

Sull’Eucarestia non oso parlare; penso che ciascuno di noi sappia che cosa è per il nostro quotidiano, che deve essere permeato, notte e giorno, da questo dono affidato a noi, inesprimibile, ineguagliabile.

Ogni parola è insufficiente.

L’Eucarestia deve essere solo considerata in ginocchio e in silenzio.

Mi fermo solo all’espressione basiliare della presentazione del Gesù Eucaristico: Questo è il mio corpo”.

Il corpo di Gesù nelle fasi della sua vita: nella capanna di Betlemme, nella fuga in Egitto, a 12 anni tra i dottori del tempio, tra i malati, gli indemoniati, i lebbrosi, i pazzi o indemoniati, mentre si rilassa in casa di Marta e Maria.

Maestà e debolezza, silenzio e parola, perdono e giustizia, amabile e severo, dolce ed aspro.

Tutto nell’immagine del corpo che esprime l’anima, come in ciascuno di noi…

Vuole che lo presentiamo così: «Questo è il mio corpo».

Poteva dire: «Questa è la mia persona». Il termine c’era in ebraico e in greco…

No, ha voluto presentarsi, in quella cena pasquale così: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».

Non è questa la memoria forte dell’ultimo giorno della vita di Gesù?

Perché anche noi ci dovessimo presentare con la nostra presenza corporale davanti a tutti? Un corpo lindo da ogni bruttezza e pronto a servire?

È questa la nostra presenza davanti al quotidiano? Il corpo?

Che fa trasparire l’anima, la mente, il sentimento e quel tanto di personale che ciascuno deve avere per indicare che abbiamo capito chi siamo e da chi veniamo? E qual è il compito primario del quotidiano?

Buona Pasqua. Mons. Giovanni Battista Chiaradia