Una lezione dalla piazza - di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

Perché una tenda per pregare in piazza davanti alla Chiesa?

07/02/2009
Per iniziativa dell’Azione Cattolica sono state allestite nelle giornate del 23-24 gennaio scorso, delle Tende in piazza che hanno ospitato la Sacra presenza di Gesù Eucaristia per 24 ore, dal pomeriggio di Venerdì al pomeriggio di sabato.
Più della preghiera corale e del canto ha dominato in quelle ore la commozione, il silenzio, l’interrogazione.
Perché la tenda? Perché è realtà e simbolo del primo insieme umano verso la civiltà e il dovere.
Dalla tenda degli Ebrei in fuga dalla servitù dell’Egitto è nata la libertà.
La tenda va intesa sempre assieme all’albero: orizzontale e verticale si intrecciano.
Assieme al sole, al cielo, alla montagna, all’acqua, al fuoco e alla terra, al vento nasce una dinamica dell’essere umano.
E proprio tra il cosmico all’esterno e la fantasia all’interno, l’uomo primitivo nella dinamica del conoscere, tra un tremolio di luci e di ombre, scopre il sacro.
La tenda non resta tanto tempo in un posto solo, bisogna piantarla in un posto nuovo e sempre vicino all’albero da cui prende rami e foglie per il tetto.
Non solo: gli studiosi del primitivo parlano di «verticalismo» dell’albero, che dalle radici che sprofondano nella terra si innalza e si allarga tanto che quell’essere primitivo, che forse non ha ancora la parola, avverte in sé che non esiste solo il visibile ma anche un invisibile che lo interroga, lo intimorisce, lo esalta.
Così, tra il cosmo all’esterno e l’onirico all’interno, si organizza in quell’essere primitivo una poetica, da sempre il primo stadio della iniziazione dell’uomo al divino.
Nell’eccezione storico-religiosa, il sacro e l’aggettivo santo sono in stretta relazione con la forza e potenza (mana-tabù) fino al «ieròs» greco.
Da quel momento l’umanità non è più sola. Il sacro è il suo fondamento tra un tremolio di ombre e luci fino alla chiarezza dei mistici come San Francesco d’Assisi col Cantico delle Creature, S. Giovanni della croce, Santa Teresa d’Avila, S. Tommaso d’Aquino col suo ineguagliabile «Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui».
La Bibbia presenta i Salmi, il Cantico dei Cantici, il meraviglioso libro dell’Apocalisse.
Tutto proviene dalla dinamica dell’albero, un metabolismo che parte dalle radici, si estende ai rami e conserva gelosamente i frutti.
Per ultimo. Una interrogazione mi assale.
Perché la Provvidenza divina ha voluto questa tenda proprio qui, punto nodale da cui nel tempo la città si è estesa dal nord al sud, da levante ad occidente?
Che cosa vuole la Provvidenza divina da questa piazza, da questa città?
Vuole forse un salto di qualità?
Quando in questa piazza si parla, si gioca, si danza, ci si incontra?
Sono convinto che questa tenda che sabato sera è stata tolta ci resterà nell’anima e ci interrogherà.
 
Ma approfondiamo un po’.
In questo incontro con Gesù Eucaristia, sono le cose attorno che ci dettano pensiero, parola, stupore, riconoscenza, preghiera.
Specialmente il silenzio, perché le cose parlano da quando sono nate, mentre l’umanità ancora non parlava, ma parlava la natura che l’essere umano, per utilità o compagnia, manipolava e trasformava.
Così è avvenuto per la tenda perché l’uomo, la donna avevano pur bisogno di riposare, di dormire, di difendersi dalla pioggia, dal fulmine, dalla bestia, poiché lui non si sentiva bestia, era diverso.
Assieme alla tenda ha voluto anche un albero, altrimenti dove avrebbe trovato rami e foglie per il tetto della tenda?
Ecco dove è sorto l’orizzontale e il verticale: distendersi ed alzarsi, guardare attorno e guardare in alto, camminare, arrampicarsi.
Da questi movimenti ancestrali nasce l’assillo della curiosità: «Che cosa c’è davanti a me? Che cosa c’è sopra di me?»
Questi due movimenti ci devono essere anche oggi nella ridda di cose che saggezza, studio, costanza, curiosità ci hanno donato.
Ma abbiamo dimenticato il verticale come compagno di strada; abbiamo dimenticato la lezione del primitivo che, assieme alla tenda, voleva anche l’albero.
Senza l’albero, la tenda non era capace di essere riparo.
Facciamo un salto nel tempo.
Dal libro della Genesi al capo 11, appare un certo Eber da cui nascono gli Ebrei che per fame sono in Egitto: l’orizzontale e il verticale delle piramidi li fa impazzire dallo stupore!
Oso dire che il desiderio della libertà gli Ebrei l’hanno imparato proprio in Egitto.
Un bel giorno scappano, camminano, piantano la tenda ogni giorno in un posto nuovo e guardano sempre in alto e dall’alto scende un pane che aveva il sapore di una focaccia col miele (dice il testo biblico dell’Esodo 16,31).
Corre la storia. Gesù, Figlio di Dio, ammantato dalla fragile carnalità di un Bimbo, nasce in una capanna o in una tenda?
Curiosi indagatori della storia di quel tempo e di quel sito, ci informano che i pastori di quei tempi erano nomadi, non avevano casa stabile, vivevano in tende che piantavano in siti diversi dove potevano trovare foraggio per gli animali, alberi da frutta e rami e fogliame per il tetto della tenda.
O albero che ti ammiro vigoroso e superbo fronteggiante vento e tempesta, e tu, alberello esile che ti chini poverino allo sferzare della tempesta, quanto vi amo!
Come vorrei essere come voi libero nel vento, anche se mi schiaffeggia e piega la mia cupa baldanza!
Se Tu, Gesù, fossi stato solo albero, mi sarei arrampicato tra le fronde per coglierne i frutti. Sarei diventato sempre più abile a salire in alto, più coraggioso a cogliere i frutti che mi avrebbero concesso di nutrirmi di saggezza, di coraggio e nello stesso tempo di umiltà.
Se avessi avuto paura di arrampicarmi fino in cima, mi avresti aiutato.
Mi avresti aiutato a raccogliere foglie e rami per costruire tende non solo per me, ma per chi non ne ha e vive all’aperto dove il lupo sta all’erta per azzannarti e portarti con sé.
E così avvenne per Te quel Giovedì al tramonto, quando Tu sei diventato pane: il lupo ti ghermì, ti fustigò, ti inchiodò in un legno.
Mani pietose ti adagiarono in un sepolcro. Mamma Maria e una donna, che Tu avevi salvata da un precipizio, stavano lì senza pianto, senza parola, nel buoi della notte, ma in una intesa luce dell’anima.
Quando l’alba spuntò, spezzasti il sepolcro e ora sei qui, immenso, onnipotente Iddio, per non farci paura, in una leggera, sottile, tenue briciola di pane per insegnarci che, se vogliamo essere grandi, bisogna essere piccini.
 
Mons. Giovanni Battista Chiaradia