La Settimana Santa: la Passione - di P. Giuseppe Pirola sj

La vittoria della Libertà per tutti gli uomini

08/04/2009
Ho letto tante volte, come voi, il racconto della passione, morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Mi hanno sempre colpito le parole di Gesù che ritornano spesso nel vangelo. Gesù nel suo ultimo viaggio verso Gerusalemme, nel vangelo di Luca, annuncia ai suoi apostoli per ben tre volte che egli a Gerusalemme sarà catturato, condannato a morte e crocifisso, e che questo deve accadergli; ma il terzo giorno risusciterà.
Gli apostoli restano scandalizzati a questo triplice annuncio di morte, e sembrano non prestare attenzione all’annuncio finale della risurrezione.
Lo scandalo degli apostoli è comprensibile: nessuno di loro, come pure nessuno del popolo ebraico attendeva un messia, un re dei giudei, che potesse essere condannato e crocifisso come un qualunque malfattore. Il Messia anzi era per loro un vincente, colui che avrebbe non solo vinto tutti i nemici di Israele ma li avrebbe liberati dalla soggezione ad altri popoli pagani, compresi i Romani, e avrebbe esteso il suo Regno su tutto il mondo. Gesù stesso nell’ultima cena, che precede immediatamente l’inizio della sua passione, annunciò agli apostoli: «questa notte tutti patirete scandalo per me» e proseguì citando un passo della Bibbia, «percuoterò il pastore e tutte le pecore del gregge andranno disperse». Nonostante le vive proteste degli Apostoli, dopo la cattura, «tutti, abbandonatolo, fuggirono», come racconta il vangelo stesso. Ricordiamo tutti le parole dei due discepoli di Emmaus che dopo la morte di Cristo, dicono al viandante sconosciuto che si accompagna ad essi che tornavano a casa loro da Gerusalemme, ed era il Cristo risorto, la loro amarezza. Credevamo che fosse il Messia, speravamo che fosse lui il liberatore di Israele, ma i nostri capi l’hanno condannato e crocifisso; la sua morte prova dunque che non era il Messia. La nostra fede che Gesù fosse il Messia è crollata; perciò non ci resta che tornare a casa nostra.
Contro lo scandalo degli apostoli provocato dall’annuncio di Cristo della sua passione e morte, e questa amara delusione dei discepoli di Emmaus, provocata dalla sua morte in croce, stanno invece le parole di Cristo che annuncia la propria resurrezione dopo la sua crocifissione e morte. Ma la sua resurrezione annunciata non spiega ancora l’insistenza di Gesù su quel “deve”, sulla necessità che la sua passione e morte debba accadere, insistenza che rende enigmatiche le sue parole. Perché il Cristo “deve” patire e morire in croce?
Vediamo di capire le parole del Signore, di sciogliere l’enigma che pesa sul senso della sua passione e morte.
Cominciamo con il non scandalizzarci subito della croce di Cristo, né a fare promesse di fedeltà incondizionata quanto superficiale, come gli apostoli, o a perdere la fede come i discepoli di Emmaus. Proviamo a non separare l’annuncio della passione e morte, dalla sua conclusione, o dall’esito finale annunciato della sua passione e morte. La passione e morte del Signore Gesù non è comprensibile se non teniamo fermo l’esito finale, la resurrezione. Solo in questa maniera possiamo capire il “deve” o la necessità della passione e morte del Signore. Gesù stesso la spiega: Gesù deve patire e morire per compiere la missione che il Padre gli ha affidato di liberare gli uomini dal peccato e dalla morte e nel modo in cui il Padre vuole, dunque in perfetta fedeltà al Padre. Il Cristo deve morire vuol dire che deve vivere la sua passione e morte, nel modo in cui il Padre vuole, in fiducia perfetta che il Padre non lo lascerà perire miseramente ma lo farà risorgere. Quel deve non è l’obbedienza a un ordine, ma il fare ciò che è gradito al Padre, in piena fiducia nella fedeltà del padre alla promessa di risurrezione fatta al Figlio obbediente, che condivide fino in fondo l’amore del Padre per gli uomini, per la loro liberazione e libertà di vita che, a differenza di altre libertà individuali, sociali, politiche, è liberazione e libertà dal peccato e da quel costo brutale e ripugnante della missione di Cristo che è la morte in croce.
Il peccato è ciò che sconvolge tutte le relazioni tra gli uomini, quel peccato che è l’offendersi, il non rispettarsi, le ingiustizie fatte agli altri, fino alla violenza nelle sue forme sempre più intense, che avvelena tutti i nostri rapporti familiari, economici, sociali e politici e ci impedisce di realizzare la libera fraternità umana universale. Ma se Cristo deve obbedire cioè essere fedele al Padre, nella missione liberatoria affidatagli e nel modo di affrontare e vivere la sua passione e morte, e cioè una missione da cui neppure la minaccia di morte può distogliere, questo modo di affrontare e vivere la sua missione nella passione e morte, risplende nella passione e morte e fa grande il Cristo, che egli stesso ha espresso nelle parole: offrendosi liberamente alla sua passione e morte, come recitiamo nel momento della consacrazione nella santa messa. Libera offerta, che non è servile obbedienza o impotenza di fare altro: questo è lo stile con cui Gesù vive la sua passione e morte. ma non è il Padre che lo destina a morte. Il dover morire non è affatto un destino per Gesù Cristo. La sua passione e morte è il prodotto della volontà degli uomini che non credono che un messia sofferente possa essere un messia divino, dotato di invincibili poteri, con cui può salvare sé stesso e sottrarsi alla morte che essi gli infliggono. È quanto dicono i suoi nemici, scuotendo il capo sotto la sua croce: ha salvato gli altri e non può salvare sé stesso. Voleva liberare Israele… scenda ora dalla croce e gli crederemo.
Gesù non scese dalla croce; non fece ricorso a poteri divini o sovrumani; non avremmo più capito né chi è Gesù Cristo – colui che salva tutti gli uomini, ma non usa il suo divino potere per assoggettare a sé tutti gli uomini, ma vive la sua lotta contro il peccato degli uomini per liberare gli uomini, non per liberare i buoni dai cattivi ma per liberare tutti dal peccato dell’ingiustizia e della violenza – né chi è Dio, che ha scelto per suo Figlio questa via e questo stile di lotta per la libertà, il vincere l’ingiustizia con la forza del bene, non deformando la lotta per la giustizia in un conflitto tra poteri, che serve solo a far vincere non la giustizia e la liberazione di tutti gli uomini dal peccato.
Perciò Dio lo ha glorificato e l’ha risuscitato: perché Cristo ha amato gli uomini sino alla fine, e cioè anche a costo della morte; ma vivendo la morte che gli è stata inflitta, con uno stile preciso, non come conflitto di forza e potere, ma come via alla liberazione di tutti gli uomini da ogni ingiustizia e violenza o peccato, una vita umana gloriosa. 
La nostra vita vede sempre lo scontro tra ingiustizie e processi di liberazione, lotta che si trasforma e deforma in lotta di potere, tra chi è il più forte; la passione e morte del Signore ci richiama e ci porta a riflettere, su questo terribile incrocio tra libertà e poteri che uccidono in nome della giustizia, e la resurrezione o la vittoria della libertà di tutti gli uomini, non la vittoria di un potere sull’altro, a scapito di vittime sempre più numerose cui nessun potere renderà mai giustizia.          
Termino ricordando il finale del film “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo: dopo tante torture, il carro armato che rappresenta la forza di un potere avverso alla liberazione, è subissato e ridotto a nulla dalla folla che lo sommerge e in cui scompare. Possa la Chiesa diventare una comunità che abbia lo stile di Cristo nell’affrontare il problema della liberazione di tutti gli uomini, l’unica via vittoriosa secondo il disegno di Dio Padre per amore degli uomini, perché tutti gli uomini vivano liberi da peccato e morte. 
Buona Pasqua!
P. Giuseppe Pirola sj