Natale, l'ora del nuovo inizio - di P. Giuseppe Pirola sj

Gioia e libera accoglienza segnano il cammino per gli uomini

24/12/2009
Il popolo cristiano nella sua lunga storia ha letto e vissuto la festività del Natale in tanti modi. Festa del regalo ai bambini lasciato nel presepio mentre dormivano. Seguiva la festa familiare o dell’intimità familiare vissuta nella casa, magari vicino al camino, a fianco di un piccolo presepio, mentre fuori la neve copriva di silenzio e di candore il paesaggio della vita quotidiana. Era quasi una pausa, un’interruzione al caos di una vita sociale fatta di difficoltà onerose, di lavoro faticoso e ingrato, di invidie rancori e inimicizie, quasi un tirare momentaneamente il fiato, un diventare buoni, per riprendere forza al calore degli intimi affetti familiari e di pochi fedeli amici. Il Natale è stato ed è anche questo: festa della vita nuova che nasce e rinasce nel silenzio dell’inverno che nasconde la primavera che verrà; festa breve, troppo breve del desiderio compiuto e della gioia dell’intimità familiare, al riparo dal caos defatigante della vita sociale. Tralascio ovviamente la decadenza di questa festa così santa e così umana, la festa dei poveri fatta con non molta roba ma tanta amicizia, nel dispendio consumistico di vacanze suppletive, di regali non sempre mossi da affetto o dalla gratuità del dono disinteressato, talvolta anzi riciclati, o di gran cenoni, ove l’umano rapporto va perso nel chiasso, e la molta roba che circola supplisce e nasconde l’assenza di amicizia e affetto. Anche ad essi vada l’augurio di un buon Natale ritrovato.
Ma perché il Natale è divenuta una festa intima e familiare? Qual’è la fonte di questo aspetto proprio del Natale come il popolo cristiano l’ha compreso e vissuto per secoli e ancora lo vive? Che cosa è stato ed è il Natale? Che cosa accadde di così grande accadde quel giorno, che ha coinvolto l’umanità intera nella sua storia? La festa intima è la festa di due cuori e una capanna? Dalla capanna alla grotta il passo è breve. Una grotta, una stalla, una mangiatoia, dove gli animali anziché trovare il loro giaciglio di paglia o strame e attingere biada o fieno da mangiare, scaldano con il loro fiato un bimbo, convocati anch’essi insieme a Maria e Giuseppe a partecipare ad un evento unico, un evento vissuto nel silenzio da Maria e Giuseppe, il silenzio dell’adorazione del bimbo che è nato, Gesù. La nascita di quel bimbo era già stata loro annunciata dall’angelo di Dio: quel bimbo è il Figlio di Dio Padre, concepito per opera dello Spirito Santo, nato da una vergine di nome Maria, promessa sposa ad un uomo, di nome Giuseppe, una nascita per la quale l’angelo aveva chiesto da parte di Dio stesso il loro libero consenso che essi avevano dato liberamente.
Il nome ebraico di quel bimbo è Emmanuele, che significa Dio è con noi; egli è il Figlio di Dio e Dio egli stesso. Natale vuol dire che Dio è divenuto uomo come noi e venuto tra noi e con noi, un piccolo ebreo che è il Figlio della promessa di Iahveh al suo popolo, fatta ad Abramo: avrai un figlio, il figlio della promessa, Figlio di Dio e Dio egli stesso. Tra Dio e gli uomini è nata una vicinanza e un’intimità; e Dio avvicinandosi e divenendo uno tra noi e dentro nel cuore di ciascuno, comincia a svelare il suo mistero, a darsi a conoscere per sua iniziativa presentandosi nella visibilità della nostra carne. La via per conoscere Dio è aperta a tutti: basta andare alla grotta e cominciare nel silenzio a contemplare quel bimbo. La grotta è aperta a tutti, senza distinzione o privilegi riservati a pochi; a chi crede, a chi cerca Dio e a chi non lo cerca: Dio nel Figlio Gesù è venuto lui a cercare noi e a incontrare noi.
Come l’incontreremo e lo riconosceremo? Nel silenzio risuona l’annuncio degli Angeli: Vi annuncio una grande gioia: troverete un bambino in una delle vostre grotte o stalle avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Questo Dio è del tutto diverso dalle nostre aspettative e attese. È un Dio povero quanto i pastori, soggetto agli ordini di un imperatore che ha indetto un censimento in vista delle tasse, che neppure sa chi è nato a Betlemme e tanto meno gli interessa, un avvenimento qualunque ripetitivo, che non fa notizia. Al contrario: Dio è veramente uno con noi e uno di noi: povero, che nasce già suddito, impotente, destinato a essere uno che non conta e destinato a essere sempre suddito di chi comanda ed è potente, ha la forza dalla sua parte. Ma ciò che per un povero è la sua condizione imposta di vita sociale, per questo Dio è una scelta, la scelta del punto più basso dei poveri più poveri, il punto zero dell’umanità che inaugura un divino stile di vita tra gli uomini, rinunciando e rifiutando il potere e la forza. La sua forza è convocare i pastori tramite gli angeli, e insieme ai pastori tutti gli uomini di buona volontà, quelli che ascoltano l’invito degli Angeli. L’invito non è riservato ai poveri, ma esteso a tutti, tutti coloro che siano di buona volontà, che comprendono il messaggio e accolgono liberamente l’Emmanuele, il suo stile di vita.
Che è venuto a fare nel mondo questo Figlio di Dio, povero impotente umiliato? Il Figlio, il bimbo appena nato tace; le sue scelte risultano però evidenti dalle sue scelte e dallo stile di vita che inaugura e propone, venendo tra noi. Gli Angeli parlano per Lui: “Vi annuncio una grande gioia: è nato per voi il redentore, il salvatore”. Più chiaramente: colui che libererà il suo popolo e tutta l’umanità dalla schiavitù del peccato e della morte. Il peccato che domina nel mondo, l’ingiustizia, il frutto della prevaricazione del potere e della forza di qualsiasi genere degli uni sugli altri, che rende gli uomini schiavi, rinchiude la vita sociale nel perverso gioco dell’offesa e controffesa, dello scambio di sedie anziché di stili di vita e di servizio alla libertà, che umilia anziché liberare la vita degli uomini e lasciarsi misurare dal reale servizio alla libertà degli uomini da ogni ingiustizia. Colui che libererà gli uomini dalla morte, cioè dall’angoscia del destino inesorabile di morte che pesa sull’intera nostra vita, vanifica ogni speranza di liberazione e ogni possibile senso di una vita destinata a finire in niente.
I pastori se ne tornarono al loro gregge pieni di gioia, alla loro vita solita, eppure pieni di gioia. Quella notte non era accaduto nulla; il mondo di peccato e di morte non era stato rovesciato o liberato all’improvviso. Ma i pastori avevano capito che quel bimbo dava inizio alla sua vita con le sue scelte e uno stile nuovo; ed inaugurava solo l’inizio della libertà degli uomini. La povertà dell’inizio, il punto zero era stato messo in evidenza; la grotta era luminosa nella notte e illuminava un punto lontanissimo, indicando solo il senso di una lunga e anche dolorosa strada; la strada verso un mondo nuovo; il processo di liberazione era solo all’inizio, ma era cominciato. Ma chi ascolta le parole e l’inno degli Angeli, come i pastori, intravede nella povertà e nudità dell’inizio che cosa sta iniziando, ha in cuore una grande gioia. La gioia del finalmente, dell’ora del nuovo che comincia e destina a definitiva fine il mondo passato, e dell’inizio processo di liberazione da peccato e morte, reca in cuore una grande gioia, la gioia della speranza. Ma non dimentichiamo. È l’ora che divide gli uomini in base alla loro decisione: chi accoglie liberamente il Figlio di Dio deve decidersi ad accogliere quel Dio che libera gli uomini da ogni peccato e ingiustizia. Questo è l’uomo di buona volontà che si decide a volere, al seguito del Figlio di Dio che nasce, quel bene degli uomini che è la libertà dall’ingiustizia per ciascuno e per tutti, e quel frutto sociale dell’amore di Dio per gli uomini e tra gli uomini che è la divina pace messianica.
P. Giuseppe Pirola sj