CHI È IL MIO PROSSIMO? di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

...«democratizzazione» dell'amore del prossimo...

06/05/2012

Nel racconto del Buon Samaritano (Lc. 10,30) si avverte uno spostamento di significato: dall’astratto al concreto. Il dottore della legge domanda: “Chi è il mio prossimo?” (10,29). Questa prospettiva è astratta e, per così dire, non impegnativa e si colloca nell’ordine del sapere.

Gesù invece domanda: “Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che incappò nei briganti?”. (10,36) E subito dopo aggiunge: “Và e anche tu fa lo stesso”.

Dal “sapere” si è passati al “fare”. Il dottore della legge si aspettava un chiarimento teorico, ed ecco invece un invito ad un impegno pratico. Difatti l’amore verso il prossimo non è teoria, è pratica e immediata nel tempo.

Riguardo alla domanda: “Chi è il mio prossimo?” certamente si rispondeva: erano i sacerdoti, i leviti e gli israeliti a pieno titolo: dopo si può dubitare, ma è certo almeno che non si poteva includere un samaritano, considerato un nemico, e piuttosto pericoloso.

Al contrario, l’escluso diventa il modello di amore per il prossimo. Ora appare evidente che ci si debba riportare a Mtt 25 che mette in contrasto i credenti che conoscono Gesù ma non l’hanno servito e gli altri, gli esterni, che senza conoscerlo l’hanno servito nei più piccoli. Ma è proprio questa l’opposizione, oppure è meglio rapportarsi a Lc. 10,25 in cui è “un dottore della legge” che non conosce Gesù e che però deve conoscere l’Antico Testamento che gli dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso?”. Vivendo l’amore degli altri, (di coloro che sono “al di fuori”, come il Buon Samaritano) possono anch’essi, gli esterni, avere accesso alla vita eterna. Lo stesso modo di vedere è suggerito da Lc. 10,37 dove il dottore della legge indica il Samaritano come “colui che ha avuto misericordia”.

Il racconto del Samaritano descrive una forma particolare di incarnazione dell’amore del prossimo. Questa, come nel racconto dell’ultimo giudizio (Mc. 9,41) che dà valore a un solo bicchiere d’acqua dato nel nome di Cristo, consiste nel soccorso concreto offerto ad individui nel bisogno.

Bisogna guardarsi da una lettura affrettata del racconto del Buon Samaritano: ciò che il racconto sollecita è l’amore del prossimo, di chiunque si tratti.

Ma è un racconto, una parabola, e non bisogna limitare il volto dell’amore a colui che viene descritto simbolicamente. Inoltre il contesto del racconto mette in guardia contro il rischio di rimanere ad un livello astratto quando ci si interessa del prossimo. Difatti nelle scuole degli Scribi non si finiva mai di discutere anche su chi si doveva interessare del prossimo. Non si rischia forse anche oggi di perdersi in diatribe astratte e infiniti dibattiti, mentre ci sono individui che, a milioni, soffrono assai concretamente di miseria di ingiustizia? Infine, mediante il rovesciamento dei ruoli che il racconto del Buon Samaritano opera, collocando il prossimo dalla parte del soggetto piuttosto che da quello del beneficiario, l’amore del prossimo non diventa forse un impegno per tutti e non soltanto per gente eccezionale nei posti di comando e capace di pensare “un nuovo ordine economico mondiale?”. È proprio una delle ricchezze più notevoli di questo racconto quella di realizzare una specie di “democratizzazione” dell’amore del prossimo, per cui ogni individuo, senza differenze di religione, di nazione o di razza è chiamato ad attuarla nel quotidiano come nello straordinario.

In altre parole: è necessario uscire da una posizione esclusivamente religiosa ed entrare in una posizione politica, senza distinzione.