LA TRINITÀ E L’INCARNAZIONE CUORE DELLA VITA DI S. IGNAZIO DI LOYOLA di P. Michele Lavra sj

31 luglio Sant'Ignazio: una meditazione

29/07/2012

Non c’è da meravigliarsi che la Trinità e l’Incarnazione costituiscano il cuore della vita di Ignazio, perché sono le due verità principali della nostra fede; di queste egli ha fatto un’esperienza personale particolarmente viva, testimoniata dai suoi scritti: gli Esercizi spirituali, il Diario, l’Autobiografia, le Costituzioni, senza dimenticare le numerose Lettere.

La Trinità che siamo invitati a contemplare all’inizio della seconda settimana degli Esercizi spirituali è una Trinità ‘estroversa’, che cioè dall’alto dei cieli guarda con amore appassionato il mondo (“Le tre divine Persone osservano tutta la superficie o rotondità di tutto il mondo piena di uomini”, Esercizi 102), si lascia interrogare dalla situazione preoccupante del genere umano e decide di inviare il Figlio per redimere gli uomini. E il Figlio, quando nella pienezza dei tempi si fa uomo, “pone la sua tenda in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14) per poter continuare la conversazione trinitaria con le persone, risvegliando in esse il senso della dignità filiale e avviando un cammino di ritorno al Padre. Perciò “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”.  (Mt 4,23; cfr. Mc 6,6 e Lc 8,1-2).

Questa immagine evangelica di Gesù, “profeta itinerante” sempre in mezzo alla gente, ha colpito Ignazio e lo ha guidato nella ricerca di un gruppo di compagni con cui collaborare alla missione del Figlio: annuncio della Parola, insegnamento, opere di misericordia verso i malati nel corpo e nello spirito. Per questo hanno scelto di andare in mezzo alla gente, per conversare con le persone e aiutarle a crescere nella fede e nella vita cristiana. Saranno questi i tratti essenziali della prima Formula dell’Istituto presentata al papa Paolo III a Tivoli il 3 settembre del 1539 e approvata un anno dopo, con qualche integrazione, il 27 settembre 1540. È significativo che fin dalle origini i gesuiti non abitino in conventi o monasteri, ma in case chiamate residenze, situate abitualmente nel centro delle città, in vista di un contatto abituale con la gente. Attraverso laconversazione spirituale, dialogo semplice e familiare sulle cose di Dio, Ignazio e i primi compagni instauravano un rapporto personale partendo dalla situazione concreta ed esistenziale dell’interlocutore: persone semplici oppure colte, lontane dalla fede o cristianamente impegnate, con una regola di vita oppure con abitudini e scelte morali da riordinare. Mettendo in atto questo modo di trattare e conversare con le persone, Ignazio e i primi gesuiti desideravano imitare lo stile di vita del Maestro “alla maniera apostolica”, cioè come gli apostoli, facendosi anch’essi “compagni di Gesù”. Questo il significato originario del nome impegnativo scelto per il nuovo istituto religioso: Compagnia di Gesù.

Riprendendo ora il titolo di questa meditazione, possiamo dire con parole semplici che la Trinità è la Comunità delle tre Persone divine, da cui hanno avuto origine la creazione e la vita dell’uomo. L’Incarnazione è il segreto nascosto per secoli nel cuore di Dio e rivelato solo nella pienezza  dei tempi: prima ancora della creazione del mondo siamo stati scelti in Cristo, con amore del tutto gratuito; in Lui – cioè ricevendo e accogliendo i suoi stessi sentimenti… lo stesso Spirito – diventiamo figli nel Figlio. Il dono più bello che il nostro Dio Tri-Unico ci ha fatto nell’Incarnazione non consiste in cose esteriori e appariscenti (denaro, regali, potere, privilegi…), ma nell’assumere personalmente la nostra umanità, condividendo fino in fondo con noi la sua vita di Figlio: dalla nascita alla morte, nella gioia e nel dolore, nella vita e nella morte, senza alcuno sconto o privilegio, anzi… bevendo fino in fondo l’amaro calice della prova.

Il racconto della passione di Gesù ci lascia sconcertati quando veniamo a conoscere la lotta interiore da lui vissuta nel Getsèmani: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu.(Mc 14,36). Un vero confronto drammatico tra la sua volontà umana e la volontà misteriosa del Padre: Gesù non ha affrontato la morte come un eroe impavido, ma da uomo di Dio, che esprime tutta la sua sensibilità umana davanti alla prova imminente e nello stesso tempo si affida al Padre con una conversione sofferta di tutto il proprio essere, per fedeltà a Lui e ai propri fratelli. Un amore così puro e gratuito non ci lascia indifferenti: da una parte, purifica i nostri sogni di eroismo sprezzante della sofferenza; dall’altra parte, libera le nostre energie d’amore dalla paura e dalla ricerca della propria gloria. Lo Spirito Santo, riversato nei nostri cuori di carne (cfr Rom 5,5), ci abilita a vivere ed esprimere gli stessi sentimenti filiali di Gesù. Possiamo perciò rivolgere al Padre la preghiera: “Lo Spirito Santo, che ha guidato Gesù in tutta la sua esistenza, sia la mia guida e la mia forza oggi, affinché io possa essere testimone del vostro amore (Così propone la nuova formula dell’offerta quotidiana dell’Apostolato della Preghiera).

Vivere da figli nel Figlio è la via sicura per diventare partecipi degli stessi sentimenti di Gesù, inseriti nella comunità trinitaria “non come stranieri né come ospiti, ma come concittadini dei santi e familiari di Dio” (Cfr Ef 2,19). “Essere messo con il Figlio” era il desiderio più profondo di Ignazio, mentre con alcuni compagni si incamminava verso Roma per mettersi a disposizione del Papa, dopo che nel 1537 era sfumato definitivamente il progetto di recarsi tutti a Gerusalemme. Tale desiderio fu sigillato da un’indimenticabile visione presso la cappella della Storta, sulla via Cassia alle porte di Roma: “Sentì nell'animo una profonda mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo Figlio”. (Autobiografia 96). Confortato da questa visione, insieme ai primi compagni si dedicherà all’annuncio del Vangelo e alle opere di misericordia nella Roma del suo tempo; l’approvazione di questo nuovo istituto da parte del Papa aprirà nuove vie alla stessa vita religiosa nella chiesa, nel secolo XVI e nei secoli successivi.

Tutto questo fermento evangelico e apostolico è nato in Ignazio dall’esperienza viva delle realtà della fede, in primo luogo della Trinità e dell’Incarnazione, le Tre Persone divine e il Verbo incarnato che sono all’origine della nostra vita e della nostra storia. “Fare esperienza delle cose di Dio” era un’espressione a lui molto cara; egli infatti parlava di queste realtà non per sentito dire, ma per averle sperimentate. Questo in sostanza Ignazio propone negli Esercizi spirituali: toccare con mano che il Signore si comunica personalmente (parla al cuore) a ciascuno di noi, facendo sentire e assimilare in profondità le verità della fede, spesso credute e proclamate più con la testa o come dottrina che con il cuore e la vita. Quando Ignazio spiegava queste verità nella piccola chiesa della Madonna della Strada (dove poi è stato poi costruito l’attuale complesso del Gesù, la chiesa e la casa professa), appariva visibilmente infiammato e comunicava questo fuoco agli ascoltatori.

Meditando la vita di Gesù, noi impariamo a vivere fino in fondo da figli del Padre che sta nei cieli. Diventiamo infatti quello che contempliamo: la vita di Gesù, frequentata attraverso la riflessione e la preghiera, risveglia l’identità più profonda che ci è stata donata, il nostro essere figli nel Figlio; fa nascere in noi il desiderio di diventare migliori, riconoscendo i nostri idoli e i nostri smarrimenti, lasciandoci perdonare e riconciliare con il Padre. Questa buona notizia del Vangelo ha una potenza trasformante che ci restituisce a noi stessi e ci conduce a vivere nella vera libertà e nell’amore gratuito, due caratteristiche della famiglia trinitaria, della quale per dono inestimabile del Padre facciamo parte attraverso il Figlio e lo Spirito.

Vivere da figli significa mettere ordine nella propria vita per poter cercare e scegliere quello che piace di più al Signore: questa la preoccupazione dominante di Ignazio e della sua pedagogia spirituale. Come Gesù di Nazareth, Ignazio e i primi gesuiti cercavano di guardare il mondo e le persone con gli occhi della Trinità e con gli occhi del Figlio. Gesù guardava tutte le persone come figli o figlie del Padre, perché sapeva bene che una perla rimane sempre perla anche quando cade nel fango, che anche il peccatore più incallito conserva sempre dentro il tesoro prezioso della figliolanza divina. Per ricuperare questa perla e questo tesoro Gesù non ha avuto paura di esporsi e di rischiare, passando come l’amico dei pubblicani e dei peccatori e infine accettando la tragica fine che gli uomini gli hanno caricato sulle spalle. 

La Trinità e l’Incarnazione sono i due misteri principali della nostra fede e insieme i due criteri principali del discernimento cristiano: siamo chiamati a formare una sola famiglia come “familiari di Dio”, e la via per accogliere questo dono di grazia consiste nel sentire e vivere gli stessi sentimenti del Figlio amato. Questi due pilastri sono l’anima della nostra fede e il nucleo centrale della spiritualità e della pedagogia ignaziana.