L'ANNO DELLA FEDE di Mons. Giovanni Battista Chiaradia

...il fidarsi di Dio spinge ad attenderci...

17/11/2012

Quest’anno la Chiesa ci invita a riflettere su un vocabolo che non è soltanto di carattere religioso, perché appartiene al nostro quotidiano nel suo dire e fare, ma specialmente nel pensare e riflettere: la Fede.

Nei suoi molteplici significati la fede indica la fisionomia della persona completa in se stessa e nell’incontro con l’altro. Anche i maggiori intellettuali cristiani hanno cercato di precisare i presupposti razionali della parola, non solo nel campo religioso, affermando che essa non è un salto nel buio, ma una scelta ragionevole che vale per tutti, credenti o no.

Pascal intende la fede cristiana come una scommessa, nella quale si deve mettere in gioco la propria esistenza. La teologia di oggi distingue il concetto di fede che evoca, in modo particolare, un atteggiamento interiore di una dimensione soggettiva di abbandono, di appoggio sicuro, ma anche di slancio per una vita diversa, di attesa.

Il fidarsi di Dio spinge ad attendersi l’impossibile come avviene in Abramo: un figlio in vecchiaia (Genesi 18, 149). La situazione di morte del suo corpo privo di vitalità, come il seno di Sara, si trasforma in vita per quel proiettarsi oltre la speranza umana, per quel non vacillare, per quel ritenere con ferma persuasione che Dio è potente a realizzare quanto promesso: così Abramo diventa l’amico di Dio (Rom 4,18-22). La fiducia in Dio supera i limiti e le obiezioni della ragione umana, rinunciando a contare su di sé.

Con questo aspetto l’uomo fonda la sua esistenza su Dio nel mistero della sua parola e della sua grazia: rinuncia a vivere esclusivamente fidandosi in se stesso, per abbandonarsi totalmente in Lui. E questo non nel senso di pretendere che Dio compia quei doveri che appartengono al costitutivo umano che devono essere osservati in modo preciso e sicuro, ma specialmente quei doveri essenziali del proprio essere ed operare.

Essere fedeli a Dio nel corpo e nella mente è già la preghiera fondamentale della persona. Se le liturgie, i canti, le preghiere, la parola non hanno l’appoggio di un corpo che vive secondo natura, anzi si spende perché l’altro non soffra la fame, allora si attua quella liturgia della persona che tenta almeno di essere quella del Cristo.