PRENDIAMO IL NOSTRO POSTO.... di don Adelio Cola

...di moneta, pecora e figlio prodigo...

15/09/2013

 

1. Il vangelo di oggi riporta tre parabole di Gesù, una più bella dell’altra. Allora la seconda, quella della donna di casa che ritrova la moneta per terra dov’era caduta, è più bella della prima che riguardava il pastore che ritrova la pecora smarrita. Perché più bella? Perché il pastore invita i colleghi a rallegrarsi con lui e quelli forse lo compatiscono a fare tanta festa per una stupida pecora che s’era perduta allontanandosi dal gregge. La donna, povera di monete, invita le amiche delle sua condizione a festeggiare ed esse partecipano con allegria.

Se le prime parabole due possono riferirsi a fatti della vita ordinaria, la terza non può che corrispondere a un caso di cronaca. Il figlio che ottiene l’eredità prima della morte del padre, che abbandona la famiglia, che vive con le prostitute e che si riduce a un passo dal morir di fame, può essere capitato, anche se certi particolari, come il fatto di ottenere la sua parte d’eredità dal padre ancora vivo  a dispetto del fratello, è poco credibile. In quanto poi al vecchio genitore che lo aspetta quando lui decide di tornare a casa e lo abbraccia e organizza danze e un gran pranzo perché è tornato, le circostanze del racconto non possono essere state che inventate da chi ha raccontato il fatto. Neppure una parola di rimprovero esce dalla bocca del vecchio; quelle che stavano per uscire dalle labbra del figlio prodigo, suo padre non vuole neanche sentirle. “Ora è vivo, è tornato tuo fratello, tranquillizza il figlio maggiore, invidioso del trattamento riservato all’altro. Bisogna far festa e rallegrarsi”. Quel “bisogna” non è frutto di logica e non è credibile... eccetto che il narratore sia la Sapienza Incarnata, Gesù Figlio di Dio Padre infinitamente misericordioso.

2. Misericordia sì, va bene, potrebbe commentare il fratello che “ha sempre servito suo padre e non ha mai disobbedito a un suo comando”, ma c’è un limite a tutto! Però, come si fa a muovere obiezione a Dio? Anche perché scopriamo che il narratore della parabola si identifica con il padre del racconto. Siamo noi che ascoltiamo le sue parole a riconoscerci nel figlio prodigo, almeno fino al momento in cui egli ha sperperato i beni ereditati e si riduce a servire uno che lo incarica di custodire la mandria dei porci. Da quel punto in poi dobbiamo uscire dalla parabola: è Gesù che prende l’iniziativa di infondere il rimorso e la nostalgia della casa paterna nel cuore di quel poveretto, è lui che lo convince a tornare a casa fidandosi del cuore di suo padre, è lui che “gli va incontro e lo abbraccia e lo riveste del vestito più bello e gli infila nel dito l’anello, i calzari ai piedi, ordinando ai servi di preparare un gran pranzo perché lo ha riavuto sano e salvo”. Cerchiamo la logica che collega e giustifica i fatti? Eccola: “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. 

Finché leggo la parabola oggettivamente resto abbastanza incredulo di fronte a quello che leggo. Sperimento la medesima reazione di quando ascolto Gesù che mi chiede: “Quale pastore che possiede cento pecore e ne perde una non lascia le novantanove nel deserto e non va in cerca di quella perduta finché non la ritrova, se la carica sulle spalle, la riporta a casa e invita i pastori colleghi a far festa perché s’è salvata? ” Nessuno farebbe così, perché il gioco non vale la candela, risponde la logica. Ma la misericordia di Gesù non segue la logica umana. Egli perdona “fino a settanta volte sette”.

Caro lettore, sei tu, sono io, siamo tutti noi quel figlio tornato a casa, quella moneta d’oro  caduta a terra e recuperata, quella pecora smarrita e ritrovata. Il Signore di quei suoi tesori è Gesù che li ricerca, li ritrova, li riabbraccia, restituisce a tutti dignità e onore in casa sua, perché egli li ha amati fino a dare la vita per loro. Se leggiamo la parabola soggettivamente prendendo il nostro posto di pecora, moneta e figlio prodigo, cominciamo a comprenderla e ci commoviamo.