BUONA COSCIENZA… di mons. Giovanni Battista Chiaradia

…o cattiva...

22/03/2015

In questo ultimo periodo di Quaresima è bene rapportarci a noi, specialmente al nostro passato con uno sguardo retrospettivo e sincero. Se l’individuo è in grado di un sincero esame della propria vita, di fronte ad una istanza personale giudicante, si finisce col parlare di buona coscienza o di cattiva coscienza. Di solito, buona coscienza è quella di una persona che si sente calma e sicura, mentre la cattiva coscienza avvolge la persona nell’inquietudine.

In una tragedia di Euripide, l’assassino della madre considera la sua coscienza come una malattia che si fa sentire costantemente nell’anima e lo annienta. Nella letteratura greca le Erinni sono donne divine che creano nell’individuo una cattiva coscienza che costantemente inquieta.

Da notare che, da quando è sorto il vocabolo “coscienza”, questa è sempre stata intesa come cattiva coscienza. Bisogna aggiungere che Seneca, scrittore e filosofo latino, è in grado invece di parlare di coscienza buona e perfino “preclara”.

Nella Bibbia dell’Antico Testamento non esiste un termine specifico per “coscienza”. Il problema di rapportarsi a se stessi passa in secondo piano. Al posto di un esame di coscienza, che per l’individuo dell’Antico Testamento non ha alcun valore, c’è la voce di Dio che invita alla penitenza e gli fa dire col Salmo 51: “Crea in me o Dio un cuore puro e rinnova in me uno spirito saldo”.

Per l’Antico Testamento la coscienza non è un’istanza autonoma, ma un’entità guidata da Dio che conduce la persona alla coscienza del peccato e al pentimento.

Nel Nuovo Testamento la coscienza ha un significato di “consapevolezza”: Paolo, nella lettera ai Romani 2,15 dice: “Essi, i Romani, dimostrano che quanto la legge esige è scritto noi loro cuori, come risulta dalla testimonianza dello loro coscienza e dai loro ragionamenti che ora li accusano, ora li difendono”.

Per Paolo la coscienza è un ente che dirige la persona verso il bene, rimprovera o gratifica.

In conclusione, la persona che non fa alcun uso della coscienza, si presenta come colui che non ha alcun riguardo per gli altri e, se è un credente, non rispetta il Creatore: segue solo i suoi istinti, è egoista, è un tipo pericoloso. Per chi non la rispetta, la coscienza è comandata dagli istinti del momento, per cui ogni rispetto verso l’altro non esiste. Gli innumerevoli e ingannatori travestimenti con cui il male si presenta rendono insicure le persone fino al punto che accondiscendono al male.

Nel nostro tempo ha molto seguito la teoria della “coscienza telecomandata dalla pubblicità”, dall’ambiente, dai media.

È il legame alla volontà di Dio a rendere libera la persona. È Dio che mette a fuoco la coscienza perché sa che l’uomo deve rendere conto a Lui. Non ti mette paura, ti dice solo di non farti male. Se cammini da solo, o prima o dopo, incontri la discesa che ti umilia e rovina.