COSA CI DÀ LA VITA?… di don Giuseppe Marino

…se vogliamo amore….

20/09/2015

Gesù annuncia ai dodici la Resurrezione. Ma non è data Resurrezione senza Passione: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». I discepoli non capiscono ed hanno paura perché il loro cuore è occupato da altri pensieri: Essi infatti discutevano lungo la strada su chi, tra loro, fosse il primo.

C'è una contrapposizione che abita il cuore dell'uomo: Vivere per essere il primo o vivere per realizzare il disegno di Dio? Vivere in competizione con l'altro per affermare il proprio ego, per affermare se stessi o cercare il Regno dei Cieli, la novità della vita? Cercare una illusoria Resurrezione immediata nella ricerca di ciò che umanamente soddisfa o cercare la vera Resurrezione che dà vita in eterno?

Il punto di svolta è ciò che ci dà vita autentica. Cosa ci dà vita? Vivere di comparazione cercando di superare e schiacciare l'altro oppure vivere per il Signore Gesù considerando l'altro un punto d'arrivo invece che uno strumento per raggiungere il mio fine?

Dietro la discussione dei dodici che alimenta queste domande si nasconde una paura che ci appartiene: Essere messi da parte, essere umiliati, non essere più considerati.

La domanda decisiva è: Si può amare qualcuno con questa paura? Amare è essere messi da parte perché amare è dare tutto senza chiedere in cambio nulla. Non si può amare con questa paura perché amare è perdersi! Nessuno ama davvero finché non vince il terrore di essere messo da parte, di essere ultimo.

Si tratta di una paura terribile che porta a guardare sempre gli altri come antagonisti, come possibili detrattori di ciò che crediamo ci spetti di diritto.

Noi crediamo che la cosa più terribile che possa accaderci sia morire, non essere considerati, essere ultimi. In realtà la cosa più tragica è non saper amare, non avere amore, centrarsi sul proprio ego.

Oggi il vangelo ci pone davanti ad una scelta: Vivere per essere il più grande nella certezza di restare solo o come un bambino, aperto alla relazione, all'abbraccio con Dio e con i fratelli trovando nel dono di sé, che ci fa ultimi, la vera gioia del Vangelo?