Perdono e Giustizia

Il dolore per un grave torto subito non va confuso col desiderio di vendetta e di rivalsa; ma il perdono umano e cristiano non va confuso col perdono giudiziale. Il desiderio di giustizia non è contrario al perdono

05/06/1996

Di questi tempi, è capitato alcune volte in tv, che sono state intervistate vittime di gravi ingiustizie o parenti di gente assassinata, come (il 23 maggio u.s.) la dignitosissima moglie di uno dei poliziotti uccisi a Capaci o il papà del piccolo Matteo strangolato e dissolto nell'acido dal mafioso Brusca.

Con scarso senso di delicatezza umana (ma anche morale), l'intervistatore ha chiesto se si sentivano di perdonare. Quelli praticamente hanno risposto che non potevano, che non se la sentivano. E sotto il profilo umano, simili risposte sono più che comprensibili.
Sotto queste interviste, però, c'è una grande confusione.

1. Non si deve confondere il perdono umano e cristiano, col perdono giudiziale (cioè remissione totale o parziale della pena). Io qui parlo e, in genere nei casi suddetti si parla, del perdono umano e cristiano. Ma non si deve nemmeno confondere il perdono - che e' atto di umanità e dovere cristiano - con la sofferenza che il male ricevuto provoca. Il perdono e' un atto di volontà dettato dalla ragione; quella sofferenza - spesso enorme e indicibile - e' un sentimento, che pure e' dono di Dio. "Perdonare" quindi non significa "non sentire il dolore e il peso" del male ricevuto; non vuol dire nemmeno "fermare il corso della giustizia" contro chi ha commesso il male. Vuol dire - come dice il vocabolario - "con atto di umanità e di generosità, rinunciare al desiderio di vendetta e di rivalsa per il male commesso a nostro danno". Questo, il perdono per tutti: atto di generosità e di umanità. Ma per il cristiano, questo atto è un dovere.
Tuttavia, quel dolore, esasperato, non solo potrebbe diventare sentimentalismo (che e' una degenerazione del sentimento), bensì anche offuscare in qualche modo l'uso della ragione.

2. La vendetta, poi, è un desiderio disordinato; e' un anello della catena diabolica del male; è una disponibilità a quello stesso male che ci ha colpiti e che, appunto, non ci sentiamo di perdonare. Quindi ci mettiamo sullo stesso piano (proporzionalmente) deprecabile di chi ci ha colpiti.

3. Il perdono entra nel grande discorso dell'amore umano e, per il cristiano, in quello dell'"Amatevi come io vi ho amati! Amare i propri amici lo fanno anche i pagani! Voi dovete amare anche i vostri nemici, perché tutti siete figli di un unico Padre."
Ma c'e' di più: nel "Padre nostro", Gesu' ci fa pregare "Rimetti i nostri debiti, COME noi li rimettiamo ai nostri debitori". Quel COME e' tremendo. Dio ci perdona il male commesso in proporzione di come noi perdoniamo il male ricevuto. Quindi, se non perdoniamo, non saremo perdonati; diventiamo nemici di Dio; non possiamo poi aspettarci che Egli ci aiuti o ascolti le nostre preghiere. E questa e' la realtà, anche se uno non ci crede. Per chi c'e' dentro, il discorso non e' facile. Quando si è toccati, non è certo facile stare a distinguere quello che si sente con quello che si vuole o si vorrebbe; quindi è anche facile che scappi un: "Perdonare? Non posso, non sono capace!" o addirittura.. "non voglio". Nella mia lunga esperienza ho trovato quasi sempre che il "Non perdono" voleva dire: "Non posso non sentire il dolore e non desiderare che sia fatta giustizia". Come far capire che il perdono non è il sentimento di dolore o il desiderio di giustizia? Ma ho trovato anche qualcuno per il quale "Non perdono" era "Voglio vendetta", giustizia o non giustizia! E allora... non c'è che invocare la misericordia infinita che cambi quelle povere anime.

4. Ma nel contesto del sentimento (e forse anche del sentimentalismo) nel quale si ascolta una persona che in tv dice di non perdonare, il discorso e' sul filo del rasoio; in realtà potrebbe essere tutto diverso. Il teleutente e' preso dal sentimento di quella persona ingiustamente bastonata nella propria esistenza; non ha spazio per ragionare: quel rifiuto di perdono, di fatto, suona sempre come un rifiuto della parola di Cristo. E questo e' colpa non dell'intervistato, bensì dell'intervistatore. Quindi direi che molto del degrado morale nel quale viviamo deriva proprio da una tv che non viene usata come dovrebbe essere: certe trasmissioni che sembrano tutte perbenino sono vere scuole di confusione mentale, di amoralità per non dire di immoralità e di anticristianesimo; vera scuola - ohibò - del diavolo. Ma la colpa non e' della tv; e' di chi non la sa usare o la vuole usare male.
Cordialmente.

P. Nazareno Taddei sj