Il Limbo: c'è o non c'è?

Si affronta un argomento divenuto d'attualità dopo le prese di posizione di alcuni ambienti cattolici: il limbo

12/11/2005
L’amico nonno mi internetta: «Da notizie di stampa sembra che nel nuovo Catechismo, i bambini morti senza battesimo non andranno più nel Limbo, ma saranno affidati alla misericordia divina. Quindi, per i teologi del Vaticano non esisterà più il luogo “dove non si gode Dio, ma nemmeno si soffre”, com’era appunto il Limbo. Cosa ne pensa? Saluti.»
Penso, anzitutto di doverLa ringraziare e contraccambiare i più cordiali saluti e provvedere alla risposta.
E, in primo luogo, direi che quei  «teologi del Vaticano», il cui pensiero lei stesso giustamente cita, dicono che, non disponendo del Limbo in cui mandare i bimbi morti senza battesimo, risolvono molto bene il problema affidandoli alla Misercordia divina, dalla quale dipendeva il vecchio Limbo. Misericordia divina ch’è pur sempre infinita bontà, cioè bontà senza limiti, cioè un Limbo infinite di volte migliore di quel Limbo al quale noi siamo stati abituati a pensare.        
Etimologicamente, infatti, secondo il Dizionario etimologico on line, «limbo» è la parola latina «Lymbus», cioè, lembo, orlo, tanto, che per i tedeschi è rappresentato come «orlo dell’inferno»: («Vorhölle» = avanti inferno) e significa quel luogo, dove, secondo qualche teologo tedesco, venivano posti i bambini morti senza battesimo. Anche per la nostra teologia, il concetto del limbo è frutto di ragionamento logico e non propriamente di Rivelazione.
Il bambino, morto senza battesimo, ignaro di questi problemi e materialmente incapace di risolverli con atti di libera intelligenza e di libera volontà, non poteva avere né alcun merito per essersi acquistato il battesimo – per lui anche fisicamente irraggiungibile – né alcuna colpa per non averlo ottenuto.
Di qui, data la situazione fisicamente invincibile, e non trovando alcuna indicazione specifica nella Scrittura, i teologi tanto antichi quanto moderni, nello  sforzo di trovare una soluzione  ragionevole arrivano solo per logica ipotesi, riflettendo anche sul senso infinito di Giustizia e di Misericordia divine, all’esistenza di un luogo, diciamo così: anonimo, (di cui però le Scritture non parlano), dove i bimbi assolutamente innocenti come detto – non potessero  godere del privilegio soprannaturale delle visione beatifica di Dio, non essendo muniti, senza propria colpa, del necessario lasciapassare; ma nemmeno soffrire, con tanta profondità, della sua mancanza, non avendo commesso alcuna colpa sostanziale meritevole di tanto castigo.
I teologi moderni, poi, pensando che anche nel luogo ipotetico non poteva non essere frutto di senso di Giustizia e di Misericordia.
Ecco allora che i teologi, tanto antichi quanto moderni,  – non disponendo di alcun suggerimento specifico della Scrittura,  arrivano – (e si noti!) per ragionamento logico, e non per Rivelazione – all’ipotesi  di quell’immaginario «luogo», di cui non si trovava traccia nella Scrittura. Essi, però, superando la limitatezza del singolo caso specifico, pur partendo dalla concezione di una singola applicazione, si affidano alla più generale Misericordia di Dio; anche di fronte alle difficoltà di carattere scientifico dovute all’ipotesi «Limbo», mentre non sono ipotesi il luogo del premio e del castigo eterni per la creatura, dotata di libera intelligenza e di libera volontà, fatta a immagine e similitudine del Dio della giustizia e dell’amore. Ed ecco la magnifica soluzione di quei teologi, degni di ben altro che di ironia, consci che quel luogo non poteva non essere frutto di giustizia e di bontà.  E si configura perfettamente alla figura dell’uomo dotato di intelligenza e di volontà nella libertà, simile a Dio, anche nel suo bisogno di conoscere e praticare il vero e il buono, nella loro dimensione infinita.
Ricordo, infatti, le titubanze dei miei professori di teologia, pur bravissimi e preparatissimi, che arrivavano perfino a balbettare quando dovevano parlarci del Limbo o dei bambini morti senza battesimo: essi bimbi non potevano entrare nel regno di Dio e della Sua gloria, non essendo stati battezzati che, come si sa, è la condizione per essere ammessi nella Chiesa, cioè nel Regno di Dio terreno.
Mentre scrivevo queste cose, mi sono acceso il disco al Regina coeli dalla «Cavalleria Rusticana» di Mascagni: note semplici e trionfali, incisive, soppesate poeticamente su quelle parole altrettanto semplici e trionfali: «Inneggiamo: il Signore non è morto; ei fulgente ha dischiuso l’avel; inneggiamo: il Signore non è morto: Oggi è asceso alla gloria del ciel, alleluja; Ah, alla gloria del ciel.»
Sono stato preso da quel clima e con i fremiti, pur pacati, ma incisivi; insomma, con quella musica, mi sono trovato nella testa  il pensiero della comunicazione e della comunicazione di massa: fenomeno nel quale mi sentivo coinvolto strettamente. Dio m’ha messo nell’anima quei pensieri e ora li sto comunicando per iscritto a voi. Certo: voi non sentite i fremiti provati da me a quella musica. Non riuscirei a farveli sentire nemmeno se cantassi quelle parole, anziché recitarle (o scriverle) come sto facendo; nemmeno se vi accendessi il disco, mentre vi parlo o voi leggete; forse qualcosa ci sarebbe se qualcuno conoscesse a memoria quella musica e la ricordasse, mentre parlo. Voi però almeno sentite che sto parlando con un certo calore, d’argomenti di alto respiro e anche misteriosi. Sento che Dio mi ha comunicato e lo ringrazio. È la meraviglia della comunicazione e della comunicazione di massa e della musica…, che poi può diventare la comunicazione della e nella preghiera.
È un mistero nel quale siamo immersi nella comunicazione con Dio e con gli uomini, con quei mezzi che abbiamo a disposizione. Pensate al cinema, alla televisione: l’importanza di saperci elevare al di sopra della materialità pur affascinante delle immagini…
Ed ecco l’altra comunicazione che mi si è accesa nel pensiero: il «mistero» della comunicazione e della comunicazione di massa e della musica: è scritta su fogli di carta con 36 righe e ogni riga uno strumento diverso; gli orchestrali leggono ciascuno la propria riga, sotto il segno del direttore, con l’«un, due, tre, quattro» del braccio e la musica sgorga da sola.
Comunque… Mistero della comunicazione e della musica.
Ed è perché noi, dotati di intelligenza e di volontà, godiamo di libertà immensa e straordinaria, fatti come siamo a immagine  e somiglianza dello stesso Creatore, che è mistero fatto di misteri, ma  che sa anche comunicarceli nella maniera che Egli sa e può essere anche la musica, che l’uomo, riflesso dell’Infinito, sa immaginare e comporre e realizzare come mistero e nel mistero!
Anche il Limbo e la sua conoscenza sono immersi in questo mistero; e possiamo in qualche modo intravederlo  e in qualche modo intenderlo.
Augurandomi che quanto detto sia chiaro; se non basta, fate le vostre domande e sono sempre a disposizione, per quello che posso.
 
Con tutta cordialità
 
P. Nazareno Taddei sj