QUALE COMPRENSIONE E QUALE TESTIMONIANZA?


20/02/2015

Domanda (febbraio 2015):«Con sempre più frequenza - in ambito cattolico e di parrocchia - si sentono esprimere da parecchi genitori parole di comprensione verso i figli che intraprendono nuove relazioni, avendo fallito nel matrimonio, del tipo: 'Poveretti, forse quel marito (o quella moglie) non era la persona giusta per mio figlio/a o non erano fatti l'uno per l'altro! Come si può loro impedire di formarsi una nuova famiglia?' Purtroppo noto con meraviglia che questa mentalità - anche a volte tra l'indifferenza e la non curanza di alcuni sacerdoti - sta prendendo anche parecchi 'nonni', pure credenti e praticanti, diventati evidentemente anche loro molto comprensivi... Quale testimonianza deve dare un cristiano, magari anche parente, che si trova davanti a casi di questo genere? »

Risponde don Giuseppe Marino

L'unico strumento capace di contrastare la mentalità dominante è la carità. Non si dà però carità senza verità. Mai bisogna aver paura di dire le cose come stanno, con chiarezza, ma accogliendo anche chi la pensa diversamente. Questo discorso ci interroga molto perché, mi chiedo, quanti cristiani sono capaci di far comprendere la ragionevolezza dei precetti della Chiesa senza risolverli in un banale 'così si deve fare'? Pertanto, più che preoccuparmi della diffusione di una mentalità anti-evangelica, mi preoccuperei della nostra formazione e dell'incapacità che abbiamo di 'rendere ragione della speranza che è in noi' (1Pt 3,15). Quanti di noi sono capaci di far trasparire la bellezza del vangelo vissuto nella sua radicalità? Il discorso e ampio, come puoi certamente ben comprendere.

Quindi, in sostanza, formazione, accoglienza e, ovviamente, preghiera.